Dal “Viareggio” vinto col Milan di Inzaghi all’Al-Ittifaq: ecco Ivan De Santis!

L'ex difensore del Taranto è approdato nella UAE Second Division all’Al-Ittifaq e adesso è pronto a vincere anche negli Emirati Arabi Uniti
14.03.2025 11:00 di  Francesco Benincasa   vedi letture
©Ivan Francesco De Santis
©Ivan Francesco De Santis

Volare a Dubai è stata un'opportunità nata dal caos che ha travolto il Taranto. Ivan Francesco De Santis ha scelto di coglierla per mettersi in gioco in una realtà e in un calcio diversi, con l'obiettivo di continuare a vincere, proprio come ha sempre fatto in Italia, nella UAE Second Division.

“Questa opportunità è nata dalla situazione a Taranto. Se tutto fosse andato diversamente, non avrei avuto motivo di cambiare squadra. Avevo alcune offerte in Italia, ma non si sono concretizzate, quindi ho iniziato a valutare il mercato estero. A metà febbraio è arrivata questa proposta. Essendo svincolato dal Taranto, potevo firmare liberamente all'estero, mentre in Italia avrei dovuto farlo entro il 24 febbraio. Non trovando una soluzione in Italia, ho accettato questa esperienza, che per me non è una novità. Giocare fuori è diverso: cambiano lingua e cultura, ma fa parte del nostro lavoro. L’impatto è stato positivo. Sapevo che in squadra c'era un altro italiano, ma purtroppo non ha potuto firmare. Qui puntano alla promozione e il calcio è più offensivo rispetto all'Italia, dove siamo molto attenti alla tattica e alla fase difensiva. Gli allenamenti sono di sera, cosa a cui devo abituarmi perché in Italia si lavora di mattina o nel primo pomeriggio. Attualmente non ci alleniamo per il Ramadan, e con il caldo sarebbe comunque difficile farlo di giorno".

Iniziamo a parlare di quello che ti ha portato a diventare il calciatore che sei oggi. Hai iniziato a giocare a quattro anni nella società sportiva De Palo, che immagino fosse quella del tuo quartiere.

"Sì, il De Palo era una scuola calcio molto forte a Bari, guidata dall'ex calciatore Angelo Frappampina. Purtroppo oggi non esiste più, ma è stata una realtà stupenda, dove ci si divertiva tanto. A sette anni ho fatto un provino con il Bari e sono entrato nel settore giovanile".

Passare da una scuola calcio al Bari, che è sempre stata una società importante, deve essere stato un grande cambiamento. Come l’hai vissuto a soli sette anni?

"A quell’età non si realizza pienamente, ma per un bambino barese entrare nel Bari è come giocare nel Real Madrid. È il massimo. Non capisci del tutto l'importanza del momento, ma quando ti dicono che sei stato preso, sei al settimo cielo".

A 14 anni arriva il Milan. Sei ancora un ragazzino e il trasferimento da Bari a Milano è un grande cambiamento, anche a livello di distanza. Come hai vissuto questo passaggio?

"Giocavo sotto età nel Bari e stavamo facendo un gran campionato. A dicembre sono stato convocato per uno stage della Nazionale a Coverciano e, al mio ritorno, la Fiorentina ha mostrato interesse. A Bari, però, non volevano lasciarmi andare. Non sapevo nulla di firme e questioni burocratiche, ma mio padre si occupava di tutto. Un giorno, mentre era nel suo negozio, gli hanno proposto un contratto, ma proprio in quel momento ci ha contattato anche la Fiorentina. Siamo andati a Firenze per visitare le strutture e assistere a una partita, tutto sembrava fatto. Il giorno dopo avevamo l’appuntamento per firmare, ma mia madre ha preferito rimandare: voleva tempo per leggere bene il contratto, senza fretta. Nel frattempo, è successa un’altra cosa. Io sono nato a Conversano solo perché il ginecologo di mia madre lavorava lì, ma ho sempre vissuto a Bari. All’epoca, le squadre cercavano i contatti sulle Pagine Gialle e a Conversano nessuno mi conosceva, quindi hanno avuto difficoltà a trovarmi. Alla fine, tramite alcune indicazioni, sono riusciti a risalire al negozio di mio padre. Prima ci ha contattato il Milan, poi l’Inter e la Juve. Con il Milan siamo rimasti in contatto mentre stavamo ancora valutando la Fiorentina. Poi è arrivato Filippo Galli, all’epoca direttore del settore giovanile rossonero. È venuto a Bari, abbiamo pranzato insieme e, alla fine, ha tirato fuori il contratto e la maglia del Milan. Mia madre voleva prendersi del tempo per riflettere, ma Galli è stato chiaro: “Non sono venuto a Bari per niente, questo è il contratto, devi firmare. Ho firmato e non mi sono mai pentito della scelta".

Da lì è iniziata la tua avventura con il Milan, giocando spesso sotto età e vestendo anche la maglia della Nazionale. Da cosa vuoi partire per raccontarci questa esperienza?

"I primi periodi non devono essere stati facili. A 14 anni sei nel pieno della costruzione dei rapporti di amicizia e sei legato alla tua famiglia".

Come hai vissuto questo cambiamento?

"A quell'età inizi a legarti agli amici di sempre, conosci tutti nella tua città, e ritrovarsi improvvisamente in un ambiente completamente nuovo è stato un impatto forte. Sono partito per il ritiro a Pinzolo da solo. I miei genitori venivano a trovarmi una volta al mese, giusto per un paio di giorni, perché mio padre lavorava e non potevano stare a Milano. Ma col senno di poi è stato un bene: impari a crescere in modo diverso. Quando hai sempre il supporto dei genitori, è più facile. Ma quando sei da solo e devi affrontare i problemi senza aiuti, cresci più in fretta. Poi è cambiato tutto una volta finito il ritiro. Siamo andati a vivere in convitto e la routine si è fatta intensa. Mattina a scuola, pranzo, allenamento, studio con i tutor, poi subito a dormire. Non c'era nemmeno il tempo per pensare alla nostalgia. Il periodo più difficile è stato all’inizio, quando sentivo la mancanza di casa, ma poi con l’inizio del campionato mi sono concentrato sul calcio. Ero lì per giocare, e una volta iniziato il campionato, tutto il resto è passato in secondo piano. I miei genitori e anche alcuni amici, pur essendo piccoli, sono venuti a trovarmi qualche volta. Ci sentivamo spesso per telefono, anche se non c'erano le video chiamate di oggi. Ma il contatto c'era sempre".

In quegli anni al Milan c'è stata una persona, un allenatore o un compagno di squadra, a cui senti di dover dire grazie?

"A livello di allenatori, devo ringraziare Cristian Brocchi. È stato l’allenatore che ho avuto più a lungo nel settore giovanile, due anni. Mi ha insegnato tanto, soprattutto preparandomi al salto nel calcio dei grandi. Ci diceva sempre che il passaggio dalla Primavera al calcio professionistico non era facile, ed è la verità. In Primavera giochi per vincere tutto, perché il Milan vuole sempre puntare a scudetto, Coppa Italia, Viareggio. Ma nel calcio dei grandi cambia tutto, anche un pareggio può essere un buon risultato. Per quanto riguarda i compagni, i più importanti sono stati quelli che sono diventati i miei testimoni di nozze: Luca Vido, Giovanni Crociata, Vassallo, Livieri e Francesco Bordi. Abbiamo condiviso anni intensi a Milano e, anche quando le nostre strade si sono divise, siamo rimasti sempre in contatto. Appena troviamo l’occasione, ci rivediamo per una cena o qualche giorno insieme. Anche crescendo, prima viaggiavamo sempre tutti insieme, ora con le famiglie. Ma l'amicizia è rimasta forte e sincera. È uno dei regali più belli che mi ha dato il Milan".

Parliamo del Torneo di Viareggio. Vincere un Viareggio sotto età non è da tutti. Come hai vissuto quell’esperienza?

"È stato un momento importantissimo. In Primavera giocavo meno, perché davanti a me c’era Pacifico, che era fuori quota e doveva giocare. Ma in Youth League, dove i fuori quota non potevano scendere in campo, avevo spazio. Poi a novembre c'è stato il Mondiale Under con la Nazionale e, quando sono tornato, ho iniziato a giocare titolare. Il Viareggio è stato un’esperienza incredibile e devo ringraziare Pippo Inzaghi, che fin dal ritiro ci ha convocato me e Vido, facendoci sentire importanti. È un torneo speciale, affronti squadre di altri paesi e vedi un calcio diverso. In finale abbiamo affrontato l’Anderlecht, che l’anno prima aveva battuto il Milan. Vincere quel torneo è stato davvero bellissimo".

Hai citato la Nazionale, un’altra esperienza importante. Anche se era un Mondiale Under, è pur sempre un Mondiale. Cosa ti ha lasciato la maglia azzurra?

"La Nazionale è qualcosa di unico. Fino a quando non indossi quella maglia, non puoi capire cosa significhi. Quando canti l’inno in campo, senti che stai rappresentando il tuo paese nel mondo. La mia avventura in azzurro è iniziata grazie al Milan. Dopo il primo stage a Coverciano, non sono più stato convocato mentre ero al Bari, ma dal momento in cui mi sono trasferito a Milano, sono entrato stabilmente nelle nazionali giovanili. Per il Mondiale inizialmente non ero stato chiamato, perché giocavo con quelli della mia età. Poi, prima del torneo, la Nazionale Under 17 ha perso alcune amichevoli e si è infortunato Sciacca, un difensore centrale del ’96. A quel punto mister Zoratto e mister Vanoli mi hanno convocato. Quando mi hanno chiamato per il pre-ritiro, non ci credevo. Pensavo di essere stato portato solo per completare la rosa, ma mister Zoratto mi ha subito chiarito che ero lì per giocare titolare. È stata un’esperienza stupenda, anche se l’uscita dal torneo è stata amara. Abbiamo vinto le prime due partite contro Costa d’Avorio e Nuova Zelanda, ma poi abbiamo perso contro l’Uruguay, nonostante fossimo in vantaggio. Se fossimo arrivati primi nel girone, non avremmo affrontato il Messico agli ottavi. Loro erano fortissimi, infatti sono arrivati in finale. Abbiamo vissuto il torneo tra Dubai e Abu Dhabi. Mister Vanoli era un martello, preparava ogni partita nei minimi dettagli. Il nostro tempo era diviso tra allenamenti, video-analisi e recupero in piscina. Le sessioni erano nel tardo pomeriggio, perché di giorno faceva troppo caldo per allenarsi. È stata un’esperienza incredibile e un onore rappresentare l’Italia in un Mondiale".

Hai fatto tutta la trafila nel Milan, poi il passaggio al calcio professionistico con i prestiti a Catania e Paganese. Quali difficoltà hai incontrato nel salto dalla Primavera alla prima squadra?

"Quando vieni da un club come il Milan, inconsciamente pensi di essere pronto, ma trovi davanti giocatori esperti, con più esperienza in categoria. Lo spogliatoio è diverso: ciò che in Primavera era concesso, tra i grandi non lo è più. In passato c’era anche un po’ di "nonnismo": i giovani dovevano dimostrare tanto rispetto. A Catania, ad esempio, il peso della tifoseria si sente: non basta giocare, devi rendere conto ai tifosi, accettare critiche e fischi. Anche fuori dal campo cambia tutto, dai social alla vita privata: dopo una sconfitta, ogni comportamento viene giudicato".

Hai giocato in tante piazze importanti: Paganese, Ascoli, Virtus Entella, Modena. Quanto hanno influito queste esperienze sulla tua crescita?

"A Catania giocavo poco, ma alla Paganese ho trovato fiducia e ho vissuto una stagione storica, raggiungendo i play-off. Ad Ascoli, in Serie B, Maresca mi ha impressionato per i suoi metodi europei, poi con Cosmi ho avuto continuità e ci siamo salvati ai play-out. Dopo aver battuto l’Entella per salvarci, a gennaio mi è arrivata la loro offerta: non volevo scendere in C, ma è stata la scelta giusta, vincendo il campionato. È stata una stagione anomala per i recuperi, ma ce l’abbiamo fatta all’ultimo minuto. A Cesena mi sarebbe piaciuto restare, ma il Covid ha bloccato tutto. A Modena ho giocato poco, ma ho imparato tanto. Poi Monopoli: un'esperienza speciale, anche perché era vicino casa. È stata una scelta di vita oltre che di carriera".

Nel nostro almanacco sei stato accostato a Bonucci e Mexès. Ti rivedi in uno dei due? A chi ti ispiravi da piccolo?

"Mi rivedo più in Bonucci per la costruzione del gioco, ma di Mexès apprezzavo la grinta e il gioco aereo. Il mio però idolo è sempre stato Sergio Ramos, per completezza e leadership".

Quali sono i tuoi obiettivi futuri? Pensi di rimanere nel mondo del calcio anche quando smetterai di giocare?

"Ora voglio godermi al massimo questa esperienza, con l’obiettivo di vincere il campionato e vedere cosa succede dopo. È la mia prima esperienza all'estero e mi sta aprendo nuovi orizzonti. Ho sei mesi di contratto e un rinnovo automatico in caso di promozione, quindi voglio assolutamente dare il massimo per vincere qui. In futuro mi piacerebbe rimanere nel calcio, magari come allenatore o direttore sportivo. Entrambi i ruoli mi affascinano, ma sono consapevole delle implicazioni familiari. Sono ruoli che ovviamente ti costringono a muoverti lontano da casa e a passare i weekend fuori. Quindi quando sarà il momento valuterò tenendo in considerazione tutte le situazioni, deciderò a tempo debito".