Frigerio si racconta a LGI: “Pioli mi convocò, lo dissi a mio padre e scoppiò in lacrime”

Arrivato a Lecco nel gennaio 2024, Marco Frigerio sta vivendo la sua seconda stagione con la maglia dei blucelesti. Nelle ultime settimane è stato uno dei protagonisti indiscussi della squadra guidata da mister Valente, contribuendo in modo decisivo alla vittoria contro l'AlbinoLeffe con un suo gol.
Marco, partiamo dall’attualità: hai segnato nell’ultima partita e quel gol ha portato a una vittoria decisiva. Raccontaci com’è andata.
"Sì, è stata una vittoria fondamentale perché ci ha dato la salvezza matematica. Segnare il 2-1 nel finale è stata un’emozione incredibile, soprattutto dopo una stagione non semplice. Nella prima parte ho avuto alti e bassi, mentre nella seconda ho trovato più continuità. Chiudere con un gol decisivo è stata la ciliegina sulla torta."
Se non sbaglio, è il tuo secondo gol consecutivo?
“Ufficialmente no (ride), perché il primo è stato assegnato a Kristoffersen, ma io lo considero mio! Quello col Padova non ha portato punti, ma avevamo fatto un buon secondo tempo e meritavamo il pareggio. Questi gol, a prescindere, hanno dimostrato che la squadra ha carattere — come ha detto anche il nostro capitano. Contro l’Albinoleffe, poi, abbiamo avuto il giusto approccio, che era uno dei nostri punti deboli. Siamo partiti forte, creato occasioni nei primi minuti e tenuto bene il campo per tutta la partita. Il gol subito su palla inattiva è un altro dettaglio su cui lavorare, ma la vittoria è stata meritata.”
Torniamo un attimo indietro: come hai iniziato a giocare a calcio? Viene da una passione di famiglia?
“Strano a dirsi ma nessuno in famiglia ha mai giocato a calcio. Mio padre faceva basket e atletica, mio nonno niente. Mi sono avvicinato al calcio grazie a mio fratello, che è più grande di due anni. All’inizio giocavamo insieme alla San Rocchese, l’oratorio di San Rocco a Mariano Comense, dove abito. Da piccoli facevamo tutti i ruoli, giocavamo a cinque, ed era tutto molto divertente.”
“Ricordo che guardavo mio fratello e cercavo di tenergli il passo, anche se ero più piccolo. Dopo un paio d’anni lì, sono passato alla Vis Nova Giussano, la società fondata da Stefano Borgonovo. Lì il livello era decisamente più alto e ho iniziato a crescere davvero. Ho imparato tanto, soprattutto grazie a Marco Barollo, che all’epoca gestiva un po’ tutto e mi ha anche allenato. Mi ha aiutato molto a crescere tecnicamente, a capire meglio il mio ruolo in campo — inizialmente difensore, poi centrocampista."
“Poi è successo qualcosa di inaspettato. Mio padre aveva un amico che allenava i Pulcini del Milan e d’estate organizzava dei campus. Così, quasi per gioco, io e mio fratello abbiamo partecipato a uno di questi campus estivi, più come una vacanza che altro. Era in Umbria, mi sembra. Non ci aspettavamo nulla, ma andò bene: fui selezionato tra i migliori della mia età e successivamente invitato al torneo nazionale dei campus, che si svolgeva al centro sportivo Vismara del Milan. Anche se non vincemmo il torneo, riuscii a farmi notare. Al ritorno, mio padre mi disse: “La prossima settimana hai un provino col Milan.” Pensavo scherzasse, invece era tutto vero.”
"Da lì iniziarono provini, amichevoli e allenamenti: il Milan mi fece subito capire che mi voleva davvero. L’unico ostacolo era che la Vis Nova era affiliata all’Inter, quindi spingevano perché andassi lì. Nel frattempo si erano fatte avanti anche l’Atalanta e la stessa Inter. Per un bambino di 9 anni era un sogno: mi regalarono magliette, tra cui quella di Pato autografata — il mio idolo dell’epoca. Però, oltre al cuore rossonero (mia famiglia è tutta milanista), la scelta fu chiara: il Milan fu il primo a credere in me, e per questo ho deciso di andare lì. Così, a 10 anni, è iniziata la mia avventura nel settore giovanile del Milan.”
Parliamo del tuo percorso al Milan. Prima di entrare nei momenti chiave, ti chiedo: com'è stato il passaggio da una società dilettantistica a un club come il Milan?
“All’inizio non è stato semplice. Passare da una realtà dilettantistica, dove ti porti tutto da casa — borsa, scarpe, abbigliamento — a una struttura come il Milan è stato un salto enorme. Lì sei seguito in tutto, ti forniscono il materiale, ti vengono a prendere con il pulmino, sei curato fin da bambino. In campo, poi, la differenza era evidente: tutti i ragazzi erano forti, molti già da anni lì. I primi anni sono stati di adattamento, ma ho sempre avuto una crescita costante. Non sono mai esploso subito, ma ho alzato il livello ogni stagione, migliorando passo dopo passo.”
“Un momento chiave è stato in Under 16, quando abbiamo vinto il campionato con mister Alessandro Lupi. Poi in Under 17 siamo usciti con la Roma, ma anche lì ho fatto un altro step. In Primavera ho iniziato sotto età, in una squadra molto forte con giocatori come Bellanova, Gabriele Bellodi, Brescianini, ma quell'anno siamo retrocessi e io ho faticato a trovare spazio. L’anno dopo, in Primavera 2, è andata molto meglio: abbiamo vinto il campionato con mesi di anticipo.”
“Nel mio ultimo anno, sono arrivato alle prime convocazioni in prima squadra. Non sono mai sceso in campo, ma essere convocato quattro volte — contro Lazio, Benevento, Juventus e Torino — è stato un sogno. Giocare in uno stadio con Cristiano Ronaldo dall’altra parte è un ricordo indelebile. Dopo Torino, però, ho preso il Covid e la stagione si è interrotta lì per me."
C’è una persona in particolare, tra dirigenti, allenatori o compagni, a cui senti di dover dire grazie?
Non riesco a fare un solo nome. Ogni allenatore mi ha lasciato qualcosa: Monguzzi, De Vecchi, Lupi, Giunti, e anche gli allenatori stranieri che ho avuto. Con alcuni ho giocato di più, con altri meno, ma tutti mi hanno aiutato a crescere, sia tecnicamente che umanamente. Anche Filippo Galli, all’epoca direttore del settore giovanile, è stato una figura importante. Tutti hanno contribuito al mio percorso, quindi sento di dover dire grazie a ognuno di loro.”
La prima volta che sei entrato nello spogliatoio della prima squadra del Milan: che sensazioni hai provato? Hai un aneddoto da raccontare?
“Sì, più che lo spogliatoio, ti racconto il momento della prima convocazione in Serie A. Era un periodo in cui mi allenavo spesso con la prima squadra, anche a causa del Covid, che aveva reso le rose più corte. Prima di Milan-Lazio, nonostante qualche assenza a centrocampo, non ero stato convocato, quindi non mi aspettavo nulla.”
“Poi, prima della partita successiva, mister Pioli mi chiama nel suo ufficio e mi chiede se me la sento di andare in panchina con la prima squadra. Io sono rimasto senza parole, sbiancato, ma ovviamente ho risposto di sì. Mi ha detto che dovevo farmi trovare pronto, non andarci tanto per fare numero. È stato un momento fortissimo.”
“Appena uscito, ho chiamato mio padre per dirglielo. Quando gli ho detto che mi avevano convocato, si è commosso. Non l’avevo mai sentito così, e mi sono commosso anch’io. Lui, come tutta la mia famiglia, è milanista, quindi per noi è stato davvero speciale.”
Dopo l’esperienza al Milan, sei andato in prestito alla Lucchese. Com'è cambiato il tuo percorso da quel momento?
"La Lucchese è stata la mia prima vera esperienza tra i professionisti, ed è l’anno che mi ha fatto crescere di più. Capisco chi dice che è meglio uscire dalla Primavera in anticipo per confrontarsi subito con il calcio dei "grandi": è tutta un’altra cosa. La Lucchese, all’epoca, era una squadra reduce da una retrocessione e in attesa del ripescaggio. Partivamo come sfavoriti, ma grazie al mister Pagliuca, che considero molto preparato, e all’aiuto dei compagni, ho imparato tanto. Le dinamiche di gioco, la malizia, i dettagli tattici: tutte cose che in Primavera spesso mancano. In quella stagione ho collezionato 34 presenze (Coppa Italia inclusa), senza gol ma in costante crescita, anche se con un leggero calo verso la fine. In generale, la mia carriera è sempre stata un processo di adattamento e miglioramento continuo."
Poi passi al Foggia, dove vieni ceduto a titolo definitivo dal Milan. Com’è stata quell’annata? Al sud poi il calcio è molto sentito e alla fine siete riusciti a fare una belle stagione…
"Foggia è stata un’esperienza incredibile. All’inizio ero titubante, c’erano anche altre offerte, ma poi ho accettato grazie anche al supporto del mio procuratore. La squadra era costruita per vincere il campionato e io partivo dietro nelle gerarchie, in un ruolo (mediano) che non avevo mai ricoperto. Ma con il tempo e l’aiuto del mister Delio Rossi, siamo cresciuti tanto come gruppo."
"Il pubblico a Foggia è calorosissimo: senti davvero la pressione. Ma siamo riusciti a compiere una rimonta storica, soprattutto nei playoff. Ricordo la partita col Cerignola: sconfitti 4-1 all’andata, tutti ci davano per spacciati. Al ritorno, ribaltiamo tutto con un 3-0, mio gol al 92’, passaggio del turno e una festa incredibile. Poi battiamo anche il Crotone, grazie a un mio gol fortunoso (sono sincero, volevo crossare, ma il pallone è entrato), superiamo il Pescara ai rigori e arriviamo in finale con il Lecco. Lì perdiamo 2-1 all’andata e 3-1 al ritorno, ma il rammarico resta perché è stata una stagione pazzesca. La possiamo considerare una storia di amore finita male per la finale."
"Ho giocato 49 partite, 7 gol (2 nei playoff), semifinali di Coppa Italia contro la Juventus, 4 allenatori cambiati, 3 direttori sportivi. Siamo partiti penultimi, poi risaliti con il mister Gallo, di nuovo in difficoltà, e infine la svolta con Delio Rossi: ho fatto 3 gol nelle ultime 4 gare, playoff centrati e vissuti da protagonisti. A Foggia o sei un idolo o non esci di casa: un ambiente che ti fa sentire in Champions se le cose vanno bene, ma che può diventare pesante se vanno male. È stata una vera e propria montagna russa emotiva, ma mi ha fatto crescere tantissimo."
Senti, nel nostro almanacco sei stato paragonato a Ivan Rakitić. Cosa ne pensi di questo paragone?
“Ai tempi era il mio giocatore preferito, soprattutto quando giocava nel Barcellona. Oltre al look, lo ricordo per il taglio di capelli particolare, ma soprattutto per il suo stile di gioco. Era una mezz’ala silenziosa ma sempre presente, fondamentale nella costruzione del gioco. Un giocatore completo, che vedeva prima la giocata, anche se non sempre veniva esaltato, vista la concorrenza di fuoriclasse in squadra.”
E oggi c'è un giocatore a cui ti ispiri? Non per forza uno da Champions.
“Sì, ti faccio due nomi. Il primo è Tonali, che è del 2000, quindi ha solo un anno più di me. Lo ammiro molto: è completo, ha forza, tecnica, tiro, sa gestire i tempi di gioco, ha personalità. Può fare sia la mezz’ala che il mediano, anche in un centrocampo a due”
“L’altro è Frattesi. Guardo spesso i suoi video: è sempre nel posto giusto al momento giusto, e quella non è fortuna, è bravura. Per una mezz’ala come me, saper leggere i tempi d’inserimento come fa lui è fondamentale. Sto lavorando anche con un mental coach: facciamo esercizi mirati e guardiamo i giocatori del mio ruolo, per trarne ispirazione e imparare ogni giorno qualcosa di nuovo.”