Dallo Scudetto col Chievo Primavera alla firma in Kosovo: ecco Simone Moschin!

L'intervista al portiere classe '96 cresciuto a Verona e che negli ultimi anni ha militato a Malta e Lituania, optando recentemente per il Kosovo.
19.02.2025 12:00 di  Stefano Rossoni   vedi letture
Dallo Scudetto col Chievo Primavera alla firma in Kosovo: ecco Simone Moschin!

Nei nostri approfondimenti sul sito, diamo sempre grande spazio a storie e racconti dei calciatori italiani che militano all'estero. Ieri vi abbiamo parlato di Della Rovere, tra i giovani più conosciuti nel settore, mentre oggi vogliamo dare spazio a uno dei protagonisti delle scorse edizioni dell'Almanacco. Il riferimento è a Simone Moschin, portiere classe '96, che finì sulle nostre pagine durante il suo periodo a Verona, dove conquistò lo Scudetto Primavera venendo premiato anche come miglior giocatore. Da pochi giorni ha firmato un nuovo contratto in Kosovo: riviviamo insieme la sua storia!

Buongiorno Simone e grazie per aver accettato il nostro invito. È notizia di qualche giorno fa il tuo trasferimento in Kosovo: ci racconti quali sono state le motivazioni dietro questa tua scelta? 

“Oltre al Kosovo avevo altre offerte, ad esempio da alcuni campionati asiatici, ma ho deciso di accettare la proposta soprattutto per l’allenatore, Giovanni Colella, che avevo già avuto a Siena e Renate. Cercavo qualcosa di stimolante dopo l'ultima esperienza in Lituania; il mio sogno rimane sempre quello di poter giocare in Gran Bretagna".

Ritorniamo indietro nel tempo. Inizi a giocare nella scuola calcio del tuo paese, dove curiosamente il primo allenatore è papà Stefano, ex portiere delle giovanili del Como. Com’è farsi allenare da un genitore?

“In realtà mio padre ha iniziato ad allenarmi già a casa. Pensa che ho delle foto mie con i guanti da portiere a soli 2 anni (ride, ndr). Mi sono appassionato al calcio, e a questo ruolo in particolare, perchè lui giocava e io andavo a seguirlo con frequenza. I ragazzi che ha allenato gli hanno sempre voluto bene, li redarguiva quando capitava ma lo faceva sempre con amore. È stato importante per la mia crescita, oltre al talento naturale che potevo avere è stato lui a formarmi fin da piccolo”.  

Hai attirato da subito le attenzioni dei club più importanti, tra cui l'Inter. Ci spieghi com'è stato il tuo rapporto con i nerazzurri?

“Ho fatto praticamente 4 anni ad andare all’Inter, tra allenamenti e tornei vari. Mio padre mi portava a Milano e ci rimanevo a volte 2-3 giorni, a volte 2-3 settimane perchè non potevo trasferirmi (per la regola relativa ai trasferimenti degli Under, ndr). Quando poi ho compiuto 14 anni, l'Inter ha dato un contributo economico alla mia squadra, ma parlando con i responsabili nerazzurri mi è stato detto 'I primi anni, i ragazzi che vengono da lontano riscontrano solitamente dei problemi. Preferiamo mandarti in prestito, ma verrai continuamente monitorato. Intanto una squadra la trovi: ti vogliono tutti!' E così ho preso in considerazione i club vicini alla mia zona, optando per il Chievo”.

Il Chievo è stata la squadra di riferimento nel tuo percorso di settore giovanile. In particolar modo, la stagione 2013/2014 è senza dubbio la migliore disputata in gialloblu, tra la vittoria del campionato Primavera e le prime panchine ricevute in A e Coppa Italia. 

“Sì quell'anno vincemmo lo Scudetto, c'era Nicolato in panchina. Io fui aggregato praticamente tutta la stagione alla Prima Squadra, ma ritornai in Primavera per la fase finale. Fui decisivo ai rigori sia contro la Fiorentina che col Torino, anche per quello riuscii a ottenere il premio di miglior giocatore. Per me è stato motivo di orgoglio, oltre che una grande soddisfazione dal punto di vista personale. Io un para-rigori? In realtà no, o quantomeno non nei 90 minuti. Nella mia carriera ricordo il rigore parato all'esordio, ma probabilmente non arrivo a 5 in totale. Diverso invece nella lotteria dei calci di rigore, dove lì mi è capitato poche volte di uscire sconfitto".

Mentre a livello di Prima Squadra, cosa ti ricordi delle prime convocazioni ottenute? C'era qualche giocatore che ti aveva impressionato particolarmente in quel Chievo?

“Sono stato aggregato alla Prima Squadra fin da ottobre e non sono più sceso, ad eccezione di qualche sabato. Era un sogno per me, tra l'allenarsi in campi perfetti e potersi confrontare con calciatori affermati. Ho un ricordo stupendo di quel gruppo. Mi hanno aiutato a crescere, tutti: nessuno si è comportato male con me. I più forti? Il più importante di tutti sicuramente è Paredes, calciava fortissimo: mi ha rovinato anche un dito (ride, ndr). Poi ovvio, Pellissier. Nelle prime settimane con la Prima Squadra prendevo spesso gol, ma è normale: loro erano più esperti e i tempi di gioco sono diversi rispetto alla Primavera. Col passare del tempo ho iniziato chiaramente a parare, compiendo anche degli ottimi interventi. L'unico con cui continuavo ad essere in difficoltà era Pellissier. Ti superava con lo 'scavetto', metteva la palla nell'angolino... Era incredibile. Ma ti dico la verità: quello che considero il più forte di tutti, veniva dalla Primavera...". 

"Prima avevi la mia curiosità, ora hai la mia attenzione" dice una famosa citazione del film Django Unchained. A chi ti riferisci?

"Victor Da Silva. È il giocatore più forte che abbia mai visto su un campo da calcio, lo penso da sempre. Se fosse uscito da un altro settore giovanile, avrebbe fatto senza dubbio una carriera migliore. Così come me, perchè non è scontato quello che abbiamo fatto a Verona. Ma ti spiegherò meglio più avanti".

Nel "tuo" Chievo Primavera l'allenatore era Paolo Nicolato, un volto ben noto a livello giovanile anche per le sue esperienze con la Nazionale. Com'è stato il tuo rapporto con lui?

“Il mister l’ho incontrato in Lettonia, ci siamo trovati a pranzo dopo tantissimi anni. All’epoca era un allenatore duro, esigente, ora forse ha 'smussato' certi angoli. Ha sempre avuto un occhio di riguardo nei miei confronti: addirittura mi fece giocare a soli 15 anni in Primavera. C'è stato un ottimo rapporto con lui, fatto soprattutto di rispetto reciproco. Come allenatore, lavorava molto sulla fase difensiva... e i risultati si vedevano: non prendevamo mai gol, eravamo molto solidi. Quel Chievo Primavera era una squadra tosta da affrontare, ti dico: ci saremmo salvati anche in Serie C. Era una formazione di giovani, sì, ma ben formati".

Dopo lo Scudetto col Chievo intraprendi le tue prime esperienze tra i professionisti con Pisa e Renate. Quali sono le difficoltà principali riscontrate nel passaggio tra giovanili e "calcio vero"?

“Innanzitutto sono stato praticamente 'obbligato' ad andare via dopo lo Scudetto. Avevo la possibilità di rimanere a giocare in Primavera e fare il terzo in Prima Squadra, ma fare meglio dell’anno precedente era quasi impossibile. Avevo tante richieste, sia dalla Serie C che dalla B; mi fidai del mio procuratore di quel tempo che suggerii l'opzione Pisa. Mi avevano promesso che sarei stato il titolare, ma prima del ritiro venne acquistato un portiere più esperto, proveniente dalla B. In una piazza così importante, con una squadra costruita per salire agevolmente (un po' come fece il Monza negli anni passati, ad esempio), disputai soltanto 5 partite. È stata una stagione particolare, soprattutto di crescita a livello umano, viste anche le situazioni che ci sono state con i tifosi. Ma sono fiero di aver giocato con la maglia del Pisa: non è una cosa da tutti. A Renate invece ho fatto tutto il pre-campionato, ho giocato le due gare di Coppa Italia ma non feci benissimo. Mi hanno tenuto fuori fino a novembre, poi mi hanno rimesso però mi sono fatto male. Verso febbraio è cambiato l'allenatore, con l'arrivo di Colella, che mi confidò di voler puntare su di me dopo l'infortunio. E così è stato: nel girone di ritorno ho giocato 12 partite, contribuendo alla salvezza della squadra".

Sicuramente più felice la parentesi a Siena, una piazza a cui sei particolarmente legato.

“Sì, hai detto bene. A Siena cerco di tornarci almeno una volta ogni 1/2 anni, tutta la mia famiglia è innamorata di questa città. In realtà non è stata una stagione esaltante per la squadra, che si classificò a metà classifica, ma fu importante per me. Ho trovato continuità, oltre ad aver avuto l'onore di indossare la maglia di un club storico. Insieme a Verona, è la piazza a cui sono più legato in Italia”.

Dopo Siena, com'è proseguita la tua carriera in Italia a livello di traguardi e risultati?

“Se analizzassi la mia carriera da esterno, non mi spiegherei come dopo Siena non sia 'esploso'. O meglio: l'ho capito più tardi. Faccio un passo indietro. Dopo lo Scudetto vinto con la Primavera, a Verona sono andati via tutti: cito il direttore sportivo Sartori, che conosciamo molto bene, oltre a una seconda figura di rilievo. Queste due persone amministravano perfettamente il club, quando sono andate via il Chievo ha iniziato ad avere problemi. Sono subentrate altre figure, e noi che fummo protagonisti dello Scudetto non venimmo presi in considerazione. Avevano un gioiello, ovvero questa squadra, tra le mani, ma non sono riusciti a valorizzarlo. Ritorno dunque al discorso precedente. Decido di lasciare definitivamente il Chievo, dove in Serie A non avrei avuto possibilità di giocare in quel momento, per firmare un contratto di 4 anni con la Pro Vercelli, che a quel tempo era in B. Nell'anno in prestito al Siena, la Pro Vercelli retrocede in C. Avevo chiesto al mio procuratore di rescindere, con la convinzione che qualcuno mi prendesse dopo la stagione a Siena, ma io ero a bilancio per 4 milioni di euro. Sono sempre rimasto bloccato da questa cosa. Sia chiaro: non mi aspettavo di andare a fare il titolare in Serie A, lo riconosco, ma traguardi più importanti sicuramente sì. Sono comunque felice di essere rimasto tra i professionisti e aver fatto le mie esperienze all’estero”.

Ecco appunto: l'estero. Nel 2023 ti trasferisci a Malta, poi decidi di andare in Lituania. Cosa ti ha spinto a salutare l’Italia?

“Dopo queste esperienze ho iniziato a parlare con altre persone, interessandomi all'estero. In realtà ci ho sempre provato, era già un pensiero che mi 'balenava' da diversi anni. Sono sincero: da piccolo tutti sognavano di giocare in Serie A, io avevo in mente la Premier League o altri campionati. Non ci sono mai riuscito per la situazione legata alla Pro Vercelli, ma anche perchè la Serie C all’estero non la vede nessuno. Essendo un terzo livello, non c’è una grande considerazione ed è una follia, perchè la C è superiore (ad esempio) alla prima divisione maltese. Te la paragono più alla Lituania, dove però avendo giocato nel primo livello ho ricevuto più attenzioni, già dopo soltanto un anno".

Veniamo infine a La Giovane Italia. Dal 2012 al 2015 sei stato inserito sul nostro Almanacco. Conoscevi già a quel tempo la nostra realtà?

“Io conosco La Giovane Italia da tantissimo tempo, addirittura dagli Allievi. Ho visto che è cresciuta esponenzialmente come realtà, sono contento. Mia madre mi aveva comprato alcune edizioni dell'Almanacco: sono dei ricordi che custodisco con piacere".

Nelle nostre schede ti abbiamo paragonato sia al primo Zoff, che al primo Buffon. Oltre ai nomi di rilievo a cui ti abbiamo associato, ci sono altri portieri che hai seguito come veri punti di riferimento?

“Ovviamente mi fa piacere il paragone con Zoff, anche se purtroppo non l’ho mai visto giocare. Chi ha scritto quella scheda avrà rivisto in me qualche sua peculiarità. Mi rivedo più nel paragone con Gigi, anche se penso di essere stato uno dei pochi a non crescere col pallino di Buffon. L'ho apprezzato più avanti. Ma perchè mi sembrava una cosa troppo grande, come dire 'Mi ispiro a Maradona'. Non è semplice imitare certe icone. Col tempo mi sono ispirato a Casillas, De Gea e Ter Stegen, che erano più simili a me fisicamente. Ho iniziato a guardare anche Hart per la cosiddetta 'parata a croce', che non faceva nessuno in Italia. Fisicamente non c'entrava nulla con me, ma è giusto 'rubare' qualcosa da tutti per migliorare".

Tra gli italiani invece, chi ti piace particolarmente?

“Vicario secondo me è incredibile, ma lo è da molti anni in realtà. Già quando era a Perugia non mi spiegavo come potesse giocare in B. Di Gregorio molto forte, mentre Donnarumma è un gradino sopra tutti”.

Domanda finale: quali sono gli obiettivi, per il presente e il futuro, di Simone Moschin?

“Innanzitutto dare una mano alla squadra in cui sono venuto. Il mister ha contributo al mio arrivo qui in Kosovo, non sarà semplice ma proverò a dare il massimo per ottenere risultati positivi con il gruppo. Poi mi piacerebbe restare un altro anno fuori, non voglio rimanere all'estero per sempre perchè ho una fidanzata che fa su e giù tra Italia e qua perché ha il suo lavoro. Qualche esperienza però vorrei ancora farla, l'estero mi regala tanto sia a livello calcistico che per quanto riguarda la vita in generale. Se avessi potuto, lo avrei fatto prima".