Alla sua prima vera stagione in C è già a 10 gol: l'intervista a Mignani!
Guglielmo Mignani e la Pianese stanno facendo sognare il piccolo comune di Piancastagnaio, il centro più piccolo a partecipare alla Serie C con meno di 4.000 abitanti. Nell’ultima giornata, in una partita rocambolesca, le zebrate hanno sconfitto il Pescara per 3-2, grazie al gol decisivo nel finale di Frey. Anche Mignani ha lasciato il segno nel match, siglando l’1-0 e raggiungendo quota dieci gol in quella che, a tutti gli effetti, si può considerare la sua prima vera stagione in Serie C.
Buongiorno Guglielmo e grazie per aver accettato il nostro invito. Decimo gol contro il Pescara, come definiresti questo tuo campionato in una parola?
“Direi che è un inizio inaspettato, probabilmente. Se qualcuno mi avesse detto che a gennaio avrei raggiunto la doppia cifra, non ci avrei mai creduto. Gran parte del merito va alla squadra, ai miei compagni e agli allenatori, sia quello precedente sia quello attuale, che mi mettono sempre nelle migliori condizioni per rendere al massimo. Stiamo facendo molto bene, come squadra e a livello personale. Però dobbiamo continuare così, perché ci mancano ancora molti punti per raggiungere il nostro obiettivo. È fondamentale continuare a lavorare a testa bassa e proseguire sulla strada che abbiamo intrapreso".
Ti rivolgo una domanda che di solito riserviamo agli ospiti verso la fine. A inizio anno, quale obiettivo ti eri posto?
“Sinceramente il mio obiettivo era capire e dimostrare che potevo stare in questa categoria. Dopo aver giocato 4-5 anni in Serie D, volevo dimostrare soprattutto a me stesso di poter essere un giocatore da Serie C. Non mi ero dato un obiettivo specifico in termini di gol o altro, volevo soltanto dimostrare di appartenere a questa categoria".
Ripartiamo dal passato e riavvolgiamo il nastro. Hai iniziato a giocare da molto piccolo nella tua città, Siena. Raccontami un po' il tuo percorso nelle giovanili.
“Sono entrato nelle giovanili del Siena nel primo anno di Lega Pro dopo il fallimento, credo fosse la stagione 2014-2015. Ho iniziato con l’Under 15, giocando sotto età, con Radice come allenatore. Lui è stato fondamentale per me, perché mi ha aiutato a trovare il mio ruolo: quando sono arrivato al Siena, provenendo dal San Miniato, non avevo ancora un ruolo ben definito. Al San Miniato giocavo dove c’era bisogno, centrocampista o esterno. Radice, invece, mi ha fatto giocare come attaccante e mi ha dato una base importante. Successivamente, ho avuto la fortuna di lavorare per tre anni con Voria, un allenatore che mi ha formato tantissimo, soprattutto dal punto di vista caratteriale. Dopo il primo anno sotto età nell’Under 15, ho fatto un altro anno con i miei pari età e poi due anni di Under 17, di cui uno sotto età e l’altro nell’ultimo anno di categoria, dove sono riuscito a segnare 27 gol in 20 partite. Questo è stato possibile grazie al grande lavoro fatto con Voria. Dopo l’Under 17 del Siena infine, sono passato all’Under 18 della Fiorentina, iniziando così una nuova fase del mio percorso calcistico".
Prima di parlare della Fiorentina, ti faccio una domanda che forse ti avranno già rivolto mille volte. Avere un padre come calciatore è stato difficile, magari per il fatto di essere riconosciuto come "il figlio di", oppure è qualcosa che non ti ha mai toccato più di tanto?
“A dire il vero, non mi ha mai toccato particolarmente. Forse, in alcuni momenti, un piccolo fastidio c’è stato, ma neanche tanto. In particolare, durante i due anni che ho giocato a Siena, coincisi con il periodo in cui mio padre era l’allenatore della Prima Squadra, c’erano tante voci e qualcuno poteva pensare che fossi lì solo perché ero suo figlio. Tuttavia, ho sempre dimostrato sul campo di essere Guglielmo, di avere la mia identità. Mio padre ed io siamo i primi tifosi l’uno dell’altro, ma l’unica cosa che ci lega è il cognome. Per il resto, siamo due persone indipendenti e io voglio costruire il mio percorso per ciò che sono, non perché sono 'figlio di'".
E allora ti chiedo, in che modo ti ha aiutato avere un padre calciatore? Da piccolo lo vedevi giocare, quindi sei cresciuto praticamente immerso nel calcio immagino...
“Sì, assolutamente! Anche se, purtroppo, non ho ricordi di quando giocava perché ero ancora piccolo. I miei ricordi iniziano più tardi, quando aveva già iniziato ad allenare, a partire dal settore giovanile del Siena. Non abbiamo mai fatto un pranzo o una cena senza parlare di calcio. È sempre stato presente nelle nostre conversazioni e lo è tuttora. Quando siamo insieme, l’argomento pallone non manca mai. Per me è una forza in più, un grande aiuto. Mio padre è il mio primo tifoso e io sono il suo. È bellissimo: io guardo le sue partite, lui guarda le mie, e ci confrontiamo, dicendoci tutto, sia le cose che ci piacciono sia quelle che non ci piacciono".
Da Siena passi dunque alla Fiorentina, dove vinci anche un trofeo. Quali differenze hai trovato e come hai vissuto questa esperienza?
“È stata un’esperienza bellissima, perché per la prima volta ho capito cosa significasse davvero essere un calciatore professionista. Con tutto il rispetto per Siena e per il Siena di quel periodo, lì non c’erano le risorse per fare altro se non allenarsi. Andavi al campo, che fosse a Taverne o ad Acqua Calda (luoghi dove le giovanili del Siena si allenavano con frequenza, n.d.r.), facevi l’allenamento e poi tornavi a casa. A Firenze, invece, tutto era diverso. C’era l’obbligo di arrivare al campo almeno un’ora o mezz’ora prima per fare prevenzione, esercizi specifici, e poi anche dopo l’allenamento c’erano attività che ti insegnavano cosa significasse davvero essere un professionista. Anche se eri ancora nelle giovanili, ti trattavano come un calciatore al 100%, inculcandoti l’idea che, per diventarlo davvero, avresti dovuto fare tutto il possibile e impegnarti al massimo. Questo approccio, secondo me, non è casuale. La Fiorentina, ogni anno, produce tantissimi giocatori che poi approdano in Serie A, B o C. Il settore giovanile è uno dei migliori in Italia e, con la recente inaugurazione del Viola Park, penso sia ulteriormente migliorato. È un ambiente che, fin da quando sei piccolo, ti insegna cosa devi fare per costruirti una carriera nel calcio professionistico. Per me è stato un passaggio fondamentale per crescere e capire cosa voglio fare nella vita. La Coppa Italia vinta me la sento comunque mia, anche se in finale già non c’ero più. Avevo iniziato con l'Under 18, ma poi sono stato promosso in Primavera. Ho giocato fino alle semifinali, poi è arrivata l’interruzione dovuta al Covid. La finale, invece, è stata disputata come prima partita della stagione successiva. Io ero già tornato a Siena. Diciamo che ho contribuito fino alle semifinali e poi non ho più partecipato. Però, devo ammettere, me la rubo molto volentieri!".
E poi torni a Siena, questa volta in veste di “quota”, ma nel calcio dei grandi, anche se si tratta della Serie D. Quali difficoltà hai trovato in questo passaggio dalla Primavera alla Serie D?
“Ci sono tantissime differenze. Quando entri nel calcio dei grandi, capisci che il risultato conta tantissimo. È l’unica cosa che davvero importa, perché per i grandi il calcio è un lavoro. Per me e per chi gioca dalla Serie D in su, vincere una partita significa portare a casa i tre punti, e questo è qualcosa di molto diverso rispetto al settore giovanile. Nel settore giovanile, certo, ci sono competizioni e trofei, ma se arrivi primo o secondo, alla fine non cambia granché. Nel calcio dei grandi, invece, devi raggiungere gli obiettivi, altrimenti ci sono conseguenze concrete. Se non vinci, l’anno successivo potresti non guadagnare quanto l’anno precedente, oppure potresti non trovare una squadra dello stesso livello. Se ti prendono per vincere un campionato e non lo fai, potresti finire in una squadra di metà classifica. Tutto questo si riflette direttamente sulla tua vita. Io ho avuto la fortuna di giocare con calciatori importanti che avevano esperienza in categorie superiori, come Guidone, Guberti, Terigi e Schiavon. Da loro ho imparato tantissimo, soprattutto cosa significa fare sacrifici per giocare a calcio e quanto sia fondamentale vincere. Mi hanno fatto capire la differenza tra pareggiare e vincere, o tra perdere e pareggiare: è una differenza enorme. Alla fine, devi 'portare la pagnotta a casa', e arrivare primi o sesti non è affatto la stessa cosa. Ho capito, per la prima volta, quanto sia cruciale il risultato nel calcio dei grandi".
Dopo l’esperienza a Siena, nonostante le difficoltà della squadra in quella stagione, sei riuscito a emergere come un profilo interessante per molte società. Infatti, hai iniziato a muoverti, approdando a Montevarchi. Tuttavia, sembra che nei primi anni tu non sia riuscito a trovare la tua dimensione. Cosa è successo in quel periodo?
“Probabilmente ho cercato di fare il passo più lungo della gamba. Montevarchi, quell’anno, era appena salito in Serie C e, nonostante una buona stagione precedente, non ero ancora pronto né mentalmente, né fisicamente, né tantomeno tecnicamente per affrontare quel salto di categoria. Inoltre, ho avuto la sfortuna di fermarmi un mese a causa del Covid. Questo ha compromesso l’inizio della stagione: non riuscire a fare il ritiro è qualcosa che condiziona pesantemente, anche a livelli più alti. È noto che i giocatori che saltano il ritiro poi faticano a trovare la condizione per tutta la stagione. Così, dopo Montevarchi, mi è stato chiesto di trovare una sistemazione in Serie D. Sono andato a Carpi, ma inserirsi a stagione in corso non è mai semplice. Successivamente sono tornato a Siena, giocando con il Lornano Badesse, ma anche lì, in una situazione di cambiamento, non sono riuscito a dimostrare il mio valore. L’annata 2021-2022, per me, è stata disastrosa. Dopo una stagione positiva con il Siena, avevo pensato che tutto sarebbe stato in discesa, ma mi sbagliavo. Dovevo ripartire da zero, o forse addirittura da meno di zero".
Poi è arrivata una nuova opportunità: l’Orvietana, una neopromossa in Serie D in grande difficoltà. Lì hai iniziato a sbocciare.
“Sì, è vero. L’Orvietana è stata per me una sorta di ultima chance, un’ancora di salvataggio. Dovevo fare un passo indietro per ritrovare ciò che mi era mancato nell’anno e mezzo precedente: la continuità. Volevo dimostrare a me stesso di essere ancora quel giocatore che si era messo in mostra con il Siena e fare di tutto per tornare nel calcio che conta. Dopo sei mesi senza spazio a Poggibonsi, sono arrivato all’Orvietana, ultima in classifica, con pochissimi punti. Ho visto questa sfida come una ripartenza. Sono arrivato di mercoledì, ho esordito subito in Coppa Italia contro l’Arezzo e ho segnato. Quella sera ho tracciato una linea: da lì, mi sono detto, non mi avrebbe più fermato nessuno. Da quel momento in poi, ho trovato continuità, gol e buone prestazioni, e ora non voglio fermarmi".
A proposito, nel nostro Almanacco sei stato paragonato a Belotti. Ti riconosci in questo paragone?
“Sì, Belotti e Immobile sono due giocatori a cui mi sono sempre ispirato. Non hanno qualità tecniche eccezionali, come me, ma in campo danno tutto e sono professionisti esemplari che hanno lavorato duramente per migliorarsi. Mi piace essere paragonato a loro. Sono stati due dei migliori attaccanti italiani, tanto da portarci alla vittoria dell’Europeo".
Oggi c’è un giocatore, magari in Serie C o un ex compagno, da cui cerchi di prendere ispirazione?
“Mi piace guardare i più forti di tutti, perché c’è sempre tanto da imparare da loro. In questo momento, il giocatore che seguo di più è Lautaro Martínez. Per me, è l’attaccante più forte del mondo oggi. Guardo sempre i suoi video, i suoi gol, le sue giocate. È davvero eccezionale. Un altro attaccante che ammiro molto è Cristian Shpendi, allenato da mio padre. Gioca nel Cesena e, secondo me, presto arriverà in Serie A. Ha qualità fisiche e tecniche straordinarie, che in Serie B sono fuori categoria.”
Mister Formisano, ha detto che secondo lui non hai ancora raggiunto il massimo del tuo potenziale, soprattutto per quanto riguarda il legare con i compagni. Sei d’accordo?
“Sì, sono d’accordo con lui. Devo migliorare nel legare il gioco con i compagni, ma mi piace fare gol. Preferisco magari fare un passaggio in meno, ma essere presente in area. Tuttavia, cercherò di lavorare su questo aspetto. Un altro punto su cui sto lavorando è il colpo di testa. Quest’anno non ho ancora segnato di testa, anche se ci sono andato vicino, come contro l’Ascoli. Mi sento migliorato rispetto agli anni scorsi, ma voglio continuare a perfezionarmi. Sono sicuro che, con il tempo, migliorerò anche in questo.”