Cresciuto nel Catania, il gol in Serie B e l’idolo Del Piero: l'intervista a Rossetti!

Adesso al Sorrento per rilanciarsi in piena corsa salvezza. Mattia Rossetti ripercorre la sua storia con La Giovane Italia.
11.04.2025 11:00 di  Francesco Benincasa   vedi letture
©Mattia Rossetti
©Mattia Rossetti

È arrivato al Sorrento nel mercato invernale, dopo aver iniziato la stagione al Potenza. In cerca di riscatto, Mattia Rossetti ha finalmente trovato il suo primo gol in stagione nell’importante vittoria casalinga, segnando proprio alla sua ex squadra, il Messina

Mattia, partiamo dall’ultima partita: Sorrento 2, Messina 1. In gol Mattia Rossetti...

“Sì, finalmente è arrivato questo gol. Quest’anno sembrava tutto complicato: tra problemi fisici, qualche scelta sbagliata... è stata una vera liberazione per me. Mi sentivo addosso un peso che volevo togliermi il prima possibile. E finalmente, alla prima vera occasione di giocare con il Sorrento, sono riuscito a fare centro”.

E poi, insomma, da giocatore cresciuto nel Catania, che ha anche indossato la maglia del Messina... una squadra che, in qualche modo, si ricollega alla tua storia...

“Sì, sì. A Messina ho giocato nel periodo pre-Covid, anche se solo per tre mesi, perché poi è arrivato il lockdown e siamo dovuti 'scappare', tra virgolette. Però sì, avendo giocato a Catania, la Sicilia per me è un po’ come una seconda casa. Era una partita importante, anche dal punto di vista personale”.

Senti, riavvolgiamo un po’ il nastro e torniamo all’inizio. Come si è avvicinato Mattia Rossetti al calcio? Hai iniziato nell’Eclanese… com’è nata la tua passione per questo sport?

“Mio padre e mio fratello hanno sempre giocato a calcio, magari a livelli più bassi, ma la passione in famiglia c’è sempre stata. Erano tifosi che andavano allo stadio a vedere l’Avellino, quindi sicuramente me l’hanno trasmessa loro, questo attaccamento al calcio. L’Eclanese era la squadra del mio paese: ci sono stato fino ai dieci anni, più o meno. Ero davvero piccolissimo, ma è sicuramente tra i ricordi più belli… quando giocavo solo per divertirti. Poi ho cambiato scuola calcio e sono andato all’Ariano Irpino. Da lì mi ha notato la Salernitana, che è stata la prima società professionistica in cui sono entrato”.

Questo salto nel professionismo già da giovanissimo, come lo hai vissuto? Voglio dire, arrivare alla Salernitana… è vero che magari in quelle realtà si è comunque abbastanza "coccolati" dalla società, no?

“Anche se da piccoli si è trattati bene e seguiti con attenzione, sono comunque andato via di casa a 14 anni, quindi all’inizio non è stato per niente facile. Vivevo in un convitto, avevo una stanza tutta per me, ma cucina e bagni erano in comune. È stata un’esperienza molto formativa, ho fatto parecchi sacrifici. Anche se non ero lontanissimo da casa – non ero in un’altra regione, per dire – comunque vivevo da solo. I miei genitori cercavano di starmi vicino il più possibile, soprattutto in quell’anno: venivano spesso a trovarmi, perché a 14 anni abitare da solo non è una cosa semplice… non sai bene cosa aspettarti. Però, alla fine, sono rimasto contentissimo, anche perché quell’anno abbiamo pure vinto il campionato. Avevo 14 anni, ero giovanissimo, e vincere così presto ti dà una carica incredibile. Poi la Salernitana è fallita, purtroppo, ma anche quello, in un certo senso, ha fatto parte del mio percorso. È stato un trampolino di lancio che mi ha portato poi a Catania”.

Il passaggio a Catania, invece, come lo hai vissuto?

“A Catania mi sono trovato molto bene, anche perché è stata una scelta voluta. L’abbiamo fatta con consapevolezza, anche grazie ai consigli dei miei genitori. In quel periodo avevano appena costruito il nuovo centro sportivo, c’era un progetto serio e importante, sia per il settore giovanile che per tutta la società. Quando sono arrivato, mi sono sentito subito accolto, coccolato… e questo è stato fondamentale per la mia crescita, sia come calciatore che come persona”.

E che ricordo hai di Catania da giocatore? Se dovessi indicare l’anno in cui hai fatto meglio quale diresti?

Sicuramente l’anno migliore è stato quello in Primavera. Ho segnato una decina di gol e mi allenavo spesso con la prima squadra. Mi alternavo: un giorno mi allenavo con loro, poi tornavo a giocare con la Primavera. È stato forse il primo momento in cui ho iniziato a sentirmi davvero forte, in cui ho capito che magari potevo davvero diventare un calciatore professionista”.

E di quelle prime esperienze in prima squadra, hai qualche aneddoto da spogliatoio? C’è stato qualcuno, un compagno, un allenatore, un dirigente, che ti è stato particolarmente vicino?

"Beh, sicuramente all’inizio c’era molta ansia… anche un po’ di paura, com’è normale. Entrare nello spogliatoio della prima squadra da ragazzo della Primavera non è una cosa banale. Però poi, appena inizi a toccare il pallone, tutta quella tensione sparisce. Ricordo bene Maurizio Pellegrino: all’inizio era il responsabile del settore giovanile. È stato molto vicino a me, mi ha aiutato tanto, soprattutto in quel passaggio delicato tra le giovanili e il professionismo”.

C’è una persona che senti in particolare di dover ringraziare per quegli anni? Qualcuno che ti ha accompagnato davvero in quel percorso, che ti ha aiutato a crescere anche al di là del campo?

“Sì, sicuramente il mister Giovanni Pulvirenti. Mi ha fatto crescere tanto, soprattutto dal punto di vista mentale. Credo che ci fosse anche una sua citazione sul vostro Almanacco. Lui mi voleva bene come un figlio, ma in allenamento non mi risparmiava mai: mi 'massacrava' dall’inizio alla fine. Sapeva che potevo dare di più e non mi permetteva di mollare un attimo. È stato davvero fondamentale per la mia formazione”.

Infatti, tra le tue caratteristiche, lui ti descriveva come un giocatore con un buon dribbling, bravo di destro… però un po’ in “debito d’ossigeno”, diciamo. Come a dire: “correre non è mai stato proprio il tuo passatempo preferito".

“Eh sì! (ride, ndr) Da piccolo ero davvero un dribblomane. Mi piaceva tantissimo avere la palla tra i piedi, saltare l’uomo, più che magari fare gol. Mi divertivo di più nel dribbling. E sì, lo ammetto, facevo un po’ fatica a rientrare in difesa…soffrivo il dover tornare indietro (ride ancora, ndr)”.

E questa cosa, con il tempo, credi di averla migliorata?

"Assolutamente sì. Con il tempo - soprattutto nel passaggio al professionismo - sono diventato un giocatore molto più generoso nella corsa. Ho cercato di abbinare le mie qualità tecniche a una maggiore intensità fisica. Anche se sono sempre stato uno con buone doti atletiche, con il tempo ho capito quanto fosse importante dare anche un contributo fisico alla squadra. E ho lavorato tanto su questo aspetto”.

Parlando della tua ultima stagione in Primavera, hai detto che ti alternavi tra la Primavera e la prima squadra, dove hai anche fatto qualche presenza e, tra l'altro, segnato un gol in Serie B al San Nicola. Che ricordo hai di quell'occasione? Perché, insomma, il San Nicola di Bari è uno stadio caldo...

“Sì, sì, quello è sicuramente il momento più bello della mia carriera fino ad oggi. Ero un ragazzino, avevo già fatto l’esordio, forse era la seconda o terza partita in Serie B. Giocare davanti a 25.000 spettatori al San Nicola è stata un'emozione incredibile. In quel periodo, tra l’altro, il Bari era una squadra molto forte, e noi avevamo anche difficoltà a vincere fuori casa. Il gol dell’1-0… davvero, non ci credevo! Saltavo di gioia con i miei compagni, è stato un momento unico”.

In quel periodo, hai avuto anche l’opportunità di toccare la Nazionale. Com’è stata la prima volta in cui ti hanno detto che saresti andato in Nazionale? Che ricordo hai di quel momento? Cosa stavi facendo quando ti hanno detto che saresti andato in nazionale e chi è venuto a dirtelo?

"Sì, sono stato convocato per l’Under 19 e l’Under 20, subito dopo la Primavera e l’esordio in Serie B. E prima di questo, ho partecipato anche a degli stage con l’Under 16 e l’Under 17. È stato davvero un onore. Quando ti dicono che ti hanno convocato per la Nazionale, è qualcosa di indescrivibile. A casa, ho ancora un quadro con la mia prima maglietta della nazionale, con il numero 17, incorniciata. È stato uno dei momenti più belli della mia carriera, un motivo di orgoglio per me e per la mia famiglia. Penso che nulla possa paragonarsi a quella sensazione. Se non ricordo male, il direttore del settore giovanile, Manila, è venuto da me con la lettera della convocazione. Inizialmente ho pensato che avessi combinato qualcosa di brutto. Invece c'era scritto "convocazione". Quando sono arrivato a Coverciano, vedere tutti quei quadri, quelle foto… ti sembra davvero di essere dentro la storia del tuo sogno”.

Finisce la tua avventura con le giovanili del Catania e, come spesso succede, iniziano i vari prestiti. Raccontaci un po’ delle tue esperienze e come hai vissuto la fine del calcio "dei giovani"...

“Quando passi dalle giovanili al calcio professionistico, la tua mentalità cambia. Non è più solo il 'golletto' per divertirti, ma devi concentrarti di più sul lavoro, sulle partite, sulla preparazione. È stato un impatto difficile all'inizio, soprattutto perché c’erano molte aspettative su di me, venendo dalla Serie B. C’era anche il rischio che il Catania fallisse, dopo quel periodo complicato con lo scambio e gli alti e bassi. Sono rimasto a Catania, che era una squadra molto forte, costruita per vincere. Però, nonostante la qualità della squadra, avevo giocato poco nei primi sei mesi. Quindi ho deciso che dovevo cambiare aria, cercare un’altra opportunità per prendere ritmo e giocare il più possibile. La Lupa Roma è stata una tappa importante, anche se fuori casa. Mi ricordo che andai via nell'ultimo giorno di mercato e piangevo davvero come un bambino. Dopo 7-8 anni a Catania, sembrava di lasciare di nuovo casa, una sensazione difficile da gestire. Purtroppo, non ho molti bei ricordi di quell’esperienza, anche se l’unico momento positivo è stato il gol contro il Lecce. Quella partita, pur con lo stadio non pieno ma quasi, era decisiva per l’ingresso nei play-off. E quel gol è stato il mio primo in uno stadio importante, una piccola grande soddisfazione”.

Alla Vibonese ti sei trovato molto bene, giusto? Avevi iniziato a giocare con continuità, avevi segnato due gol nelle prime partite, ma poi c’è stato un imprevisto. Raccontaci un po’ di quell’esperienza.

“Sì, alla Vibonese mi sono trovato molto bene. Avevo iniziato a giocare regolarmente, stavo bene, avevo segnato due gol nelle prime partite. Purtroppo, però, a fine ottobre mi sono infortunato al ginocchio e ho dovuto operarmi al crociato. Così sono tornato subito a Catania per iniziare le cure. Sono rimasto un altro anno a Catania, ma alla fine ho deciso che volevo giocare di più. Così sono sceso in Serie D, a Messina. Lì ho fatto tre gol in nove partite. Volevo davvero stimoli importanti, e piazze come Messina mi hanno sempre affascinato, perché sono uno che ama avere un ruolo centrale nella squadra e sentire il tifo dalla propria parte. A Messina mi sono trovato benissimo, ma il Covid ha fermato tutto e non siamo più riusciti a giocare. Poi, sicuramente, l’anno migliore è stato quello a Campobasso, quando sono passato dalla Serie D alla Serie C. Con il Campobasso abbiamo vinto il campionato e ho segnato cinque gol da gennaio in poi. Con la promozione in Serie C, siamo ripartiti con una squadra molto simile a quella della Serie D, con pochi innesti, ma un gruppo fantastico. Quello è stato sicuramente il mio anno migliore come professionista, perché ho segnato nove gol e, finalmente, ho giocato come volevo io, senza infortuni a fermarmi”.

Finisce l'anno a Campobasso e il Piacenza decide di acquistarti. Come mai questa scelta? C’erano altre squadre, soprattutto al Sud, ma tu hai deciso di andare al nord.

“Sì, avevo deciso Piacenza perché, pur avendo altre opzioni, soprattutto al Sud, volevo provare un'esperienza al Nord. Non so, mi era venuto in mente che al Nord ci fosse più visibilità. Forse pensavo che se fai bene, poi potresti attirare l’attenzione di qualche squadra di Serie B. Purtroppo, l'avventura a Piacenza non è iniziata nel migliore dei modi. Nonostante avessi segnato quattro gol, che non sono pochi, a gennaio ho deciso di cambiare. Sentivo che avevo bisogno di una nuova opportunità. Così, sono andato a Rimini, dove c’era il direttore Maniero che mi aveva cercato molto. Io volevo cambiare aria il prima possibile, e infatti il 2 gennaio ero già a Rimini per la presentazione. Lì è iniziato tutto molto bene: alla seconda partita ho segnato un gol, ma poi ho subito un infortunio e la mia stagione si è praticamente conclusa lì”.

Quindi anche lì hai dovuto fare i conti con gli infortuni, giusto?

“Sì, purtroppo. L’unico anno in cui sono stato tranquillo, senza infortuni, e ho potuto concentrarmi sui gol è stato a Campobasso. Poi, tra piccoli infortuni e quelli più gravi, è sempre stata una lotta continua”.

A Potenza sei stato un anno e mezzo. Raccontaci un po' di questa esperienza.

"Sì, a Potenza sono stato un anno e mezzo. Il primo anno, nonostante abbia giocato un po' meno rispetto ad altre piazze, ho comunque fatto quattro gol. Eravamo una squadra importante, costruita per fare un campionato di vertice, ma purtroppo le cose non sono andate come volevamo. Alla fine siamo riusciti a raggiungere la salvezza. L'anno dopo, sono rimasto perché avevano rinnovato la squadra con l'intenzione di fare qualcosa di importante, ma anche lì, a causa di piccoli infortuni e disguidi, non è andata come sperato e quindi ho deciso di cambiare, scegliendo Sorrento”.

Se potessi cambiare qualcosa della tua carriera, cosa cambieresti? C'è qualcosa che faresti diversamente?

“Sì, probabilmente, quando sono rimasto a Catania, avrei scelto di andare in una squadra meno blasonata, ma di giocare di più. Quelle partite che non fai ti mancano, e te le ritrovi a 28 anni. Sarebbe stato meglio giocare 30 partite all’anno, anche in una squadra meno importante, piuttosto che non giocare e accumulare esperienza. Avrei quindi scelto una squadra che mi desse più fiducia e presenze”.

A proposito, nel nostro Almanacco ho visto che sei stato paragonato a Diego Fabbrini e Lucas Castro. Sono giocatori con cui ti riconosci, oppure ti rivedi più in altri tipi di giocatori?

“Con Castro ci allenavamo insieme, quindi un po' mi ispiravo a lui, anche perché è un giocatore tecnico che ama il dribbling e la giocata finale. Fabbrini, invece, è più un giocatore veloce, con un cambio di passo notevole. Poi, tanti mi dicevano che somigliavo più a Morata, per il modo di correre e muovermi in campo”.

Da bambino avevi un calciatore a cui ti ispiravi?

Da piccolo, il mio primo idolo è stato Del Piero, perché ero tifoso della Juventus. Poi, crescendo, il mio idolo è diventato Ibrahimovic. Lo ammiravo tantissimo: avevo i suoi poster in camera e cercavo di imitarlo in campo. Poi, l'ultimo idolo che ho avuto è stato Cristiano Ronaldo, dopo la sua crescita e il suo impatto sul calcio”.

Oggi, invece, c’è qualche giocatore, non per forza di top livello, ma magari con cui hai giocato in Serie C o con cui ti sei allenato, da cui continui a imparare qualcosa? 

“Non lo so, idolo forse no, ma mi ricordo alcuni attaccanti, come Calaiò, da cui cercavo di imparare i movimenti, come smarcarsi dal difensore o attaccare il primo palo. Questi sono i ricordi che mi porto dietro. Poi, quando ero più giovane, vedevo giocatori come Papu Gomez, che era un fenomeno secondo me, e cercavo di imparare anche da giocatori con quelle caratteristiche”.

Hai già in mente cosa fare quando smetterai con il calcio? Ti piacerebbe rimanere nel mondo del calcio o cambiare totalmente? Molti dei tuoi colleghi mi dicono che vorrebbero fare l'allenatore o restare nel calcio. Vale lo stesso per te?

“Al momento, non penso di continuare nel calcio. Mi piacerebbe aprire qualcosa di mio, magari un’attività fuori dal mondo del calcio. Però, poi, non si sa mai. Se mi verrà la voglia di restare nel calcio, non mi precludo niente. Per ora penso a qualcosa di diverso, come l’imprenditoria. Poi, magari, quando sarò più vicino alla fine della carriera, cambierò idea.

Su che ramo ti orienteresti? Più sulla ristorazione, sull'abbigliamento o magari su una palestra?

“Per ora penso più a un negozio, magari un centro sportivo. Poi, quando finirò, magari potrei anche pensare alla ristorazione, perché no…”.

Allora verrò a mangiare nel tuo ristorante!

“Lo spero! Ti aspetto!”