Ex-LGI nel mondo, l'avventura svizzera di Riccardo Calafiori
Ciao Riccardo e grazie mille per la tua disponibilità. Sei praticamente da sempre sui nostri almanacchi, ben sei edizioni di fila, e non potrebbe essere diversamente per un calciatore come te. Diciamo che ti abbiamo seguito fin dall’inizio con l’Under 15 della Roma. Com’è stato crescere in una società organizzata e sempre attenta al settore giovanile come quella giallorossa?
“Da tifoso romanista posso solamente dire che è stato un sogno che si è realizzato. Ovviamente, data la mia simpatia per la squadra capitolina, è stato tutto ampliato mille volte, ogni volta un’emozione incredibile. Inoltre è una società che punta molto sul settore giovanile, c’è una grande preparazione e si lavora al meglio per lo sviluppo del talento. Non credo sia un caso che molti giocatori che ora giocano in Serie A siano usciti proprio da lì”.
I primi calci però non vengono dati tra le mura di Trigoria, bensì alla Petriana con mister Francesco Castagnino che ha avuto la fortuna di vederti nascere come calciatore. Che periodo è stato e quanto ti ha formato per entrare in un settore giovanile professionistico?
“Ho iniziato proprio a sei anni e son rimasto alla Petriana per due/tre stagioni. Essendo un bambino la cosa che mi interessava di più era giocare e divertirmi insieme ai miei amici. Vedevo di avere delle qualità sia tecniche che fisiche importanti e ho capito che attraverso il lavoro sarei potuto riuscire a diventare un calciatore”.
Una delle tue caratteristiche principali, non possiamo negarlo, è la capacità di rialzarsi e continuare a inseguire il proprio sogno, proprio come dopo il brutto infortunio patito in Youth League contro il Viktoria Plzen. Cosa vuol dire per un ragazzo così giovane trovarsi ad affrontare una situazione del genere?
“Il primo specialista che ho consultato mi ha un po’ spaventato, dicendo che forse non sarei più riuscito a ritornare sul rettangolo verde, nonostante avrei dovuto affrontare un’operazione subito e una nel giro di due/tre mesi. Fortunatamente, il mio procuratore all’epoca era Mino Raiola che mi consigliò di andare a Pittsburgh in Pennsylvania da un luminare che aveva operato diversi calciatori tra cui Zlatan Ibrahimović. Ascoltai l’indicazione di Raiola e trovai un chirurgo che mi rassicurò subito sul fatto che sarei tornato a giocare, era da vedere a quale livello però. Ripensandoci ora, ero molto giovane e forse non mi son reso nemmeno troppo conto di quello che ho dovuto passare. L’unica idea però che avevo fissa in testa era quella di tornare e ogni giorno mi allenavo sempre più duramente per riuscire nel mio intento e alla fine ci son riuscito. Questa esperienza mi ha fatto fare anche uno step avanti a livello mentale, rendendomi sicuramente più forte”.
Il debutto in Prima Squadra è di quelli da incorniciare. Vittoria in casa della Juventus campione d’Italia per 3-1. Che emozione è stata esordire con la maglia della propria squadra?
“Il mister Paulo Fonseca mi avvisò il giorno prima, intorno alle sei del pomeriggio. Non nascondo che ho passato la notte in bianco e anche il giorno successivo ero molto teso. Mi ha aiutato molto Nicolò Zaniolo, mio compagno di stanza la notte precedente alla gara. Lui si stava già abituando a quei livelli e a quelle gare e il suo consiglio fu di restare tranquillo, giocare semplice e che ogni cosa sarebbe venuta da sé. Così ho fatto una volta in campo e pian piano mi son reso conto di cosa stava accadendo. Sono riuscito a procurami il rigore dribblando Danilo e grazie alla realizzazione di Diego Perotti ci siamo portati in vantaggio sul 2-1. Per essere la mia prima partita tra i professionisti direi che è andata molto bene. Mi dispiace solamente di esser dovuto uscire al 60esimo per crampi, ma non era un reale affaticamento, semplicemente l’emozione dell’esordio e la voglia di giocare al massimo”.
La stagione successiva ti vede stabilmente in prima squadra e non possiamo non citare il tuo splendido primo gol tra i professionisti segnato in Europa League contro lo Young Boys. Un anno e mezzo in prima squadra quanto ti ha fatto maturare come calciatore oltre che come ragazzo?
“All’inizio confrontarsi ogni giorno in allenamento e in partita contro giocatori adulti e di alto livello è stato molto stimolante. Ho capito che attraverso il duro lavoro potevo arrivare al loro livello e così ho fatto ogni istante. Ho trascorso un anno e mezzo con la prima squadra della Roma e quando ho avuto l’occasione di scendere in campo ho sempre dimostrato di essere all’altezza, grazie a assist, giocate e trovando anche la via del gol”.
Il prestito a Genova, sponda rossoblù, avvenuto a gennaio di quest’anno non ha portato il minutaggio atteso e purtroppo la retrocessione della squadra. Nonostante questo che mesi sono stati nel club più antico d’Italia?
“Non avevo mai lasciato Roma da quando avevo 9 anni praticamente, quindi non è stato sicuramente facile. La società del Grifone però ha dalla sua un ambiente incredibile, con una tifoseria fantastica seconda solo, per me che sono romanista, a quella della mia squadra del cuore. Mi dispiace non aver avuto la possibilità di incidere sul campo ed è un pensiero ancora oggi, avrei voluto aiutare maggiormente la squadra e dare il mio contributo per salvarla”.
Il 31 agosto di quest’anno ti trasferisci a titolo definitivo al Basilea. Come mai la scelta di questa società e come ti stai trovando nei tuoi primi mesi in Svizzera?
“Dopo i mesi al Genoa avevo voglia di giocare e stare sul campo quanto più possibile. Il Basilea mi ha fin da subito fatto sentire importante e lo sta dimostrando dandomi la fiducia che stavo cercando. Ho trovato un calcio sicuramente diverso da quello della Serie A, meno tattico e ritmi più alti. Non c’è mai molto tempo per fermarsi a riflettere in campo, è un continuo passare dalla difesa all’attacco e per me che sono un giocatore di fascia è un susseguirsi di uno contro uno, con attaccanti esterni molto forti che continuano a puntarti. Da questo punto di vista il campionato è molto allenante e sento di aver fatto la scelta giusta. Mi sto trovando veramente bene qui in Svizzera”.
Sei in pianta stabile nelle formazioni Under della Nazionale dall’U15 fino all’U21 nella quale hai raccolto già tre presenze. Vestire la maglia azzurra ha un sapore speciale?
“Insieme alla maglia della Roma quella della Nazionale per me è speciale. Avere la responsabilità di rappresentare il tuo Paese, con tutti gli occhi puntati addosso, è incredibile. Ultimamente sono uscito un po’ dai radar ma conto di tornarci quanto prima, anche perché mi manca la maglia azzurra”.
Concludiamo questa intervista con la domanda che ci siamo posti noi de La Giovane Italia quando abbiamo pensato a questo format. Come mai negli ultimi tempi sempre più ragazzi decidono di lasciare l’Italia per confrontarsi con l’estero?
“All’estero danno ai ragazzi la certezza di giocare e la possibilità di sbagliare, due fattori purtroppo ancora non comuni in Italia. Non esiste poi la pressione che abbiamo noi né dai media né dai tifosi. La partita è un evento che nasce e finisce nella stessa giornata, non si continua a parlare in settimana di episodi dubbi o altro. Diciamo che all’estero si vive, come è giusto che sia, con maggiore tranquillità il calcio e anche i ragazzi hanno la possibilità di sbagliare senza sentirsi giudicati. Ogni volta che un ragazzo gioca in Italia sembra che debba fare la partita della vita e dimostrare chissà cosa per venire confermato. Certo il trend sta cambiando, se ripenso a cinque anni fa ad esempio ora sempre più società si stanno accorgendo di avere giocatori forti nel loro settore giovanile. Spero che non sia un evento estemporaneo ma che continui nel tempo”.
Grazie mille Riccardo per il tempo che ci hai dedicato. Un grosso in bocca al lupo a te e al Basilea per questa stagione!