Barlocco: prima l’Atalanta, poi la Juventus. Adesso riparte dalla Pro Patria
Luca Barlocco ha deciso di ripartire dalla Pro Patria dopo un inizio di stagione come svincolato dall'ultima esperienza al Monopoli.
Cresciuto nel vivaio dell’Atalanta, ha vestito la maglia della Nazionale giovanile e ha proseguito con l’esperienza nella Primavera della Juventus. Successivamente è arrivato il salto tra i professionisti. La sua storia, raccontata in esclusiva a La Giovane Italia, rivela il percorso di un giocatore determinato a rilanciarsi.
Luca, hai iniziato proprio in questi giorni una nuova avventura. Dicci un po’ le tue sensazioni e cosa ti ha portato a vestire questa nuova maglia.
"Ho iniziato questa nuova avventura il 31 dicembre, dopo mesi difficili da svincolato. Avevo tanta voglia di ripartire, e la Pro Patria è stata la prima squadra a farmi sentire il suo interesse. Avevo già parlato con il direttore verso metà dicembre, e siamo riusciti a trovare un accordo. Loro vogliono uscire da una situazione complicata, e io avevo un grande desiderio di tornare a giocare. Sono due volontà forti che si sono incontrate. Ieri ho fatto il mio esordio e sono felice di essere tornato in campo. Ora spero di poter dare un contributo importante alla squadra per uscire da una situazione che, lo sappiamo bene, è difficile. Siamo in zona play-out, quindi dobbiamo fare il massimo per migliorare la nostra posizione".
Facciamo il nostro classico salto indietro. Come tanti ragazzi hai iniziato a giocare nella squadra del tuo paese, poi a 12 anni arriva l’Atalanta. Un salto decisamente importante:
“Il passaggio a un settore giovanile importante come quello dell'Atalanta, a 12 anni, è stato un cambiamento significativo. Da allenarmi un paio di volte a settimana vicino a casa, sono passato a spostarmi fino a Zingonia 3-4 volte a settimana. Uscivo da scuola, prendevo il pulmino che mi portava al campo, e il tempo per scuola e studio inevitabilmente si riduceva. È stato impegnativo, ma lo desideravo perché amavo giocare a calcio, come tuttora. All'Atalanta ho trovato un ambiente che non solo ti fa crescere calcisticamente, ma anche a livello umano, sottolineando l'importanza dello studio: il calcio può essere tanto bello quanto incerto. Questo percorso mi ha insegnato a fare sacrifici, gestendo giornate intense tra scuola, allenamenti e studio. Dal punto di vista personale, all’inizio non è stato facile: ero timido e inserirsi in un gruppo di ragazzi nuovi richiedeva tempo. Tuttavia, non ho avuto grandi difficoltà, anche perché l’avventura calcistica è partita bene. Certo, c’era la competizione con altri ragazzi talentuosi e le alte aspettative degli allenatori, ma questo è parte del crescere in una società importante. È stato un cambiamento impegnativo, ma bello e formativo".
A Bergamo è stato un bel periodo sicuramente a livello calcistico, hai toccato anche la nazionale, che esperienza è stata…
“Il periodo con l’Atalanta e la Nazionale è stato per me molto significativo, ricco di soddisfazioni personali. Ho iniziato a frequentare le selezioni dell’Under-15 già al secondo anno all’Atalanta, e da lì ho proseguito fino all’Under-20, tranne una parentesi con l’Under-19. È stata un’esperienza incredibile, che mi ha permesso di confrontarmi con i migliori ragazzi di altre squadre e vivere momenti unici in giro per l’Europa. Ricordo ancora l’emozione e l’ansia del primo stage a Coverciano: era tutto nuovo, ma mi ha aiutato a crescere, sia calcisticamente che personalmente. Tra i momenti più belli, ci sono sicuramente le qualificazioni agli Europei con l’Under-17, una competizione di altissimo livello. Sono esperienze che mi hanno arricchito e mi hanno lasciato ricordi indelebili, al di là dei risultati sul campo".
Di questi anni, c’è qualche figura che senti di dover ringraziare?
“Non ho un ricordo specifico di una persona che mi abbia aiutato in modo particolare, ma devo ringraziare tutti gli allenatori avuti all’Atalanta e il responsabile di allora, Favini, una figura importante per me. Anche se non ho avuto molti confronti diretti a livello personale, i discorsi rivolti al gruppo mi hanno sempre dato spunti utili per crescere. Un altro aspetto fondamentale è stato il tempo trascorso con ragazzi più grandi, come quelli degli Allievi o della Primavera. Quando tornavamo insieme al campo con il pulmino organizzato dalla società, ero a contatto con giocatori che avevano esperienza anche con la prima squadra. Questo mi ha aiutato a capire meglio certe dinamiche e a maturare. Sono grato per queste esperienze, che hanno contribuito molto alla mia crescita".
Dopo l'Atalanta, la Juventus. Sei tifoso della Juventus, corretto?
“Quel cambiamento è stato molto importante e stimolante dal punto di vista personale. Essendo Juventino, non potevo rifiutare un’opportunità come quella di trasferirmi alla Juventus, ma è stato un passaggio drastico. Ho dovuto cambiare città, trasferirmi a Torino e iniziare da zero in una nuova scuola proprio nell’anno della quinta superiore. Le differenze tra le due società erano significative. All’Atalanta, per quanto il settore giovanile fosse al top, ti sentivi ancora un ragazzo in formazione. Alla Juventus, invece, c’era una percezione più professionale: ti facevano sentire già un giocatore, un aspetto che ha contribuito molto alla mia crescita. Ho imparato a vivere lontano da casa, a confrontarmi con nuove realtà, e ho avuto la fortuna di allenarmi con la prima squadra, composta da giocatori che ammiravo fin da bambino. Quell’anno abbiamo anche disputato la Youth League, viaggiando per l’Europa: Madrid contro il Real, Copenaghen contro il Galatasaray... esperienze uniche che mi hanno arricchito. Allenarmi spesso con la prima squadra mi ha permesso di capire cosa significa davvero essere al top: qualità, mentalità e dedizione. È stata un’esperienza formativa e indimenticabile. La cosa che ricordo più di tutti era la voglia che aveva Conte di allenare, la determinazione che ci metteva negli allenamenti, la cura dei dettagli".
Dopo la primavera poi il salto con i grandi, quali sono state le difficoltà che hai riscontrato? E ti chiedo, quanto secondo te, se a suo tempo ci fossero state le seconde squadre, avrebbero aiutato la tua carriera?
"Alla Juventus avevo tutto a disposizione, era un ambiente ideale, mentre il salto in Serie C mi ha catapultato in un contesto molto diverso, con meno risorse e maggiori incertezze. Il confronto con giocatori più grandi ed esperti, di 30-35 anni, è stato impegnativo. Ricordo che nella mia prima partita con il Novara in Coppa Italia mi ruppi il naso, un ulteriore ostacolo che mi tenne fermo per settimane. A gennaio cambiai squadra, andando al Como, ma le cose non migliorarono, e quell’anno fu molto difficile. Iniziai a perdere fiducia, elemento fondamentale per andare avanti in questo sport. Fortunatamente, il secondo anno a Carrara l’allenatore mi diede fiducia, giocai con continuità e riuscii a rimettere in piedi la mia carriera. Riguardo alle seconde squadre, penso che avrebbero potuto aiutarmi. Restare nel mondo Juventus e fare esperienza in Serie C con continuità avrebbe potuto fare la differenza. Ovviamente non c’è certezza, ma credo sarebbe stato un supporto utile per affrontare le difficoltà di quel periodo".
Hai avuto un percorso ricco di esperienze, vincendo anche due campionati di Serie C. Qual è la piazza che ti ha lasciato il ricordo più bello? E, magari, questa potrebbe non coincidere con quella in cui ti senti di essere cresciuto o di aver imparato di più. Se vuoi, puoi citarne più di una.
“Il ricordo più bello lo associo a Vicenza, una piazza importante con tifosi incredibili. Lì ho avuto la fortuna di vincere il campionato di Serie C, giocare in Serie B e conquistare la salvezza. Tuttavia, il periodo del Covid ha segnato quell'esperienza, con gli stadi a porte chiuse e l’assenza del calore della curva, che sarebbe stato un valore aggiunto. Detto ciò, ho ricordi positivi anche altrove: la Carrarese mi ha permesso di ripartire da zero, a Piacenza abbiamo sfiorato la vittoria del campionato contro ogni aspettativa, e a Chiavari, con l’Entella, nonostante due stagioni difficili, ho vissuto momenti speciali. Ma se devo scegliere, direi Vicenza per il valore complessivo di quell’esperienza".
Cambiamo un attimo argomento, restando però in ambito calcistico. Nonostante la tua carriera da professionista, sei riuscito a laurearti in Giurisprudenza, dimostrando che studiare e giocare ad alti livelli è possibile.
“Sono totalmente d'accordo. Ho avuto la fortuna di continuare a studiare, e questo mi rende molto orgoglioso. Non è facile, soprattutto per l'impegno mentale che richiede, più che per le ore effettive. Ho iniziato a studiare alla Bicocca di Milano, ma dopo tre anni ho trovato difficile conciliare gli esami con gli allenamenti, quindi ho optato per un percorso telematico che mi ha dato maggiore flessibilità. Studiare e giocare è possibile, anche perché spesso gli allenamenti sono nel pomeriggio, lasciando la mattina libera. Penso sia fondamentale, soprattutto per chi fa una carriera in Serie C, avere un piano B per il futuro, senza aspettare che tutto finisca senza una soluzione. Di questo sono molto orgoglioso, e cerco sempre di motivare i ragazzi più giovani della squadra a fare lo stesso. Studiare stimola la mente e aiuta a tenere attivo il cervello".
E per il post carriera, hai già in mente cosa fare?
“Al momento non ho un piano preciso, ma spero di continuare a giocare per alcuni anni. Mi sento bene, anche se negli ultimi due anni ho avuto problemi per via di regolamenti e situazioni di mercato, che mi hanno portato ad essere svincolato. La mia volontà è quella di proseguire il più a lungo possibile, ma penso anche in modo logico: dopo 10, 15, 20 anni nel calcio, le tue conoscenze professionali e personali ti facilitano il passaggio a ruoli come allenatore, piuttosto che altre figure come direttore o procuratore. Sarebbe interessante anche esplorare qualcosa di completamente diverso dal calcio, ma non è facile e non ci ho ancora pensato seriamente. Se dovessi restare nel calcio, probabilmente sceglierei un ruolo tecnico, magari legato anche a quanto ho studiato. Spero di avere tempo per pensarci tra qualche anno".
Tra i consigli che dai ai ragazzi più giovani quindi c’è sicuramente quello di prepararsi un piano B…Ormai sei uno dei veterani degli spogliatoi, che effetto ti fa questa situazione?
“È una sensazione particolare, perché fino ad ora ero il ragazzo che guardava i più grandi, mentre ora tocca a me fare da guida e trasmettere esperienza ai più giovani. Questo mi dà una certa responsabilità, ma anche molta soddisfazione, soprattutto quando vedo che i ragazzi mi osservano per capire come comportarsi. Mi fa piacere, anche perché mi è capitato di allenarmi con squadre dilettantistiche, dove ero tra i più grandi, e questa sensazione era ancora più forte".
Sei stato incluso in due edizioni del nostro Almanacco e spesso sei stato paragonato a Fabio Grosso. Ti riconosci in questo paragone o ti sentivi più vicino a un altro giocatore, considerando che, se non sbaglio, hai sempre ammirato Bale?
“Ho sempre ammirato Bale per le sue doti atletiche e fisiche, che sentivo più affini alle mie caratteristiche, soprattutto per quanto riguarda la corsa e la forza. Il paragone con Fabio Grosso mi fa piacere, anche se non sono sicuro di ritrovarmi completamente nelle sue caratteristiche. L'ho avuto come allenatore, quindi è un onore. Riflettendo ora, senza fare paragoni con grandi nomi, mi rivedo un po' in Molinaro, l'ex terzino della Juventus. Ha avuto una carriera solida, ma è stato un giocatore "normale", e per stile di gioco e caratteristiche, a volte mi sembra di assomigliargli".
C'è qualche giocatore, anche di Serie C, B o A, che ti ispira ancora e ti dà spunti per continuare a imparare?
“Non ho mai avuto particolari modelli da cui ispirarmi, ma sicuramente ci sono giocatori, soprattutto nel mio ruolo, che mi piacerebbe emulare. Un nome che mi viene in mente è Theo Hernandez, un giocatore che adoro per il suo stile di gioco molto offensivo, la sua grande corsa e la potenza. È un esempio che mi motiva, anche se a volte potrebbe migliorare in fase difensiva. Mi piace anche osservare alcuni compagni, magari più giovani, che si distinguono nel loro ruolo. Ad esempio, Beruatto e Cicconi, che pur non giocando in Serie A, sono molto bravi in Serie B. Questi giocatori mi danno uno stimolo in più a cercare di migliorare e raggiungere anche il loro livello, anche se magari ci vorrà più tempo".