L'esordio in Europa con l'Inter, la Nazionale e l'idolo Messi: l'intervista a Merola
Davide Merola sta vivendo una stagione da protagonista con il Pescara, dove ha già siglato sei gol nonostante le difficoltà iniziali legate a un intervento per pubalgia. Cresciuto nel vivaio dell’Inter e abituato a distinguersi tra i migliori, il bomber campano porta in campo l’esperienza maturata tra club prestigiosi e Nazionali giovanili, un percorso segnato da talento, determinazione e voglia di vincere. Oggi è uno dei simboli di una squadra ambiziosa, capace di puntare in alto grazie ai suoi gol decisivi.
Partiamo dalla stagione in corso. Nell’ultima partita contro il Campobasso è arrivato un pareggio, una doppietta, sei reti in campionato. È stata una bella partita. Analizziamo un po’ questa stagione sia a livello personale che di squadra, perché sta andando molto bene.
"Allora, parto dicendo che a giugno, finito il campionato, mi sono sottoposto a un intervento per la pubalgia. Non riuscivo più ad andare avanti e ho fatto tanti sacrifici. Questo mi ha causato un ritardo nella preparazione e iniziare la stagione più lentamente è normale. Non mi aspettavo di essere già a 6 gol, anche considerando che non ho giocato sempre. Ora sto avendo più spazio, ma il mister spesso alterna i giocatori davanti, quindi non è detto che tu sia titolare fisso, come invece mi capitava con Zeman. Come squadra stiamo andando molto bene, abbiamo fatto un girone d’andata incredibile. Ora non dobbiamo assolutamente fermarci. Domenica abbiamo la sfida con la Ternana: dobbiamo sfruttare il nostro pubblico e cercare di portare a casa i tre punti".
Effettivamente è una partita importante, visto che siete entrambe in testa. Giocarla come prima del girone di ritorno ha il suo peso.
"Sì, ma il campionato è lungo. Anche se si vince o si perde domenica, c’è tutto un girone da giocare. Bisogna rimanere sempre concentrati".
Passiamo un po’ alla tua storia. Noi de La Giovane Italia amiamo ripercorrere il percorso di chi, in passato, è stato protagonista sulle pagine del nostro Almanacco. Tu sei stato prelevato giovanissimo dall’Inter. Cosa ha significato per te crescere e militare in una società come quella?
"L’Inter mi ha preso a 12 anni. Il cambiamento è stato grande, ma la fortuna è che i miei genitori si sono trasferiti con me a Milano. Altrimenti avrei dovuto aspettare un anno per andare in convitto. Penso che, a livello giovanile, non ci sia una società migliore dell’Inter: ti preparano benissimo, ti mettono a disposizione una scuola e delle strutture incredibili"
E hai fatto tutta la trafila delle giovanili, con tante vittorie. Penso al Torneo di Viareggio, all’Under 17 e così via. Ci sono stati anche tanti titoli personali…
"Sì, se non erro, ho vinto il titolo di capocannoniere ogni anno. L’annata con Esposito, Bettella, Adorante è stata una delle più forti che l’Inter abbia mai avuto. L’Inter non ci chiedeva di vincere, ma di avere un comportamento esemplare. Era quello il focus principale".
Sempre in quel periodo hai vestito anche la maglia della Nazionale. Che emozione è stata?
"Unica. Ho avuto la fortuna di partecipare a due Europei e ai Giochi del Mediterraneo da capitano. Ogni volta che scendevo in campo e suonava l’inno, mi emozionavo. Indossare quella maglia è sempre motivo di orgoglio, a prescindere dal livello. Ho avuto l’opportunità di giocare contro la Spagna, con giocatori come Ferran Torres e Miranda, che ora giocano rispettivamente al Barcellona e al Bologna. Loro erano già nella Liga, mentre noi facevamo ancora la Primavera".
Nel tuo percorso all’Inter c’è stata una figura che ti ha aiutato particolarmente?
"Nel mondo del calcio dovrei ringraziare tante persone, ma in particolare il direttore Roberto Samaden. Mi ha sempre spronato a crescere, anche con punizioni giuste quando sbagliavo. Come allenatore, invece, menzionerei Zanchetta, che mi ha fatto giocare prima punta, un ruolo che adoro. In generale devo ringraziare la mia famiglia e la mia compagna, che in estate diventerà la mia futura moglie. Mi hanno aiutato tanto soprattutto nei momenti difficili, perché poi quando le cose vanno bene tutti sono vicini, ma quando le cose vanno male in pochi restano vicini. Quindi mio fratello, la mia famiglia e lei sono quelle persone che mi hanno aiutato più di tutti".
Parliamo del tuo ruolo. Sei stato spesso descritto come un giocatore intelligente, capace di adattarti in qualunque posizione dell'attacco. Ti ci rivedi?
"Sì, non ho mai puntato sul fisico. Negli ultimi tre anni ho giocato da esterno con Zeman, che però considera gli esterni quasi come punte. Segno sempre dall’area di rigore, perché lì sono un giocatore fastidioso. Magari come prima punta in un 4-3-3 è un po' difficile, poi dipende dalla partita, però seconda punta mi ci vedo benissimo".
Hai esordito in Europa League con Spalletti contro l'Eintracht Francoforte. Come hai vissuto quel momento?
"Non me lo aspettavo. È stato il giorno più bello della mia vita, giocare a San Siro davanti a 70.000 spettatori. Ora, con più maturità, me lo godrei ancora di più. Sono andato lì che avevo 12 anni, io non mi aspettavo neanche un esordio con l'Inter, io pensavo al percorso in prestito, magari vai in altre squadre e poi un giorno ritornerai all’Inter. C’era Martinez squalificato e io già in quella settimana sentivo che magari poteva esserci l'occasione e c'eravamo sia io che Sebastiano Esposito. Spalletti ha fatto esordire tutti e due, è stato stupendo".
Dopo l’Inter sei passato all’Empoli. Com’è stato il salto dalla Primavera ai professionisti?
"In campo non noti grosse differenze, ma ci sono dinamiche diverse. Ho avuto difficoltà iniziali, ma ho imparato a far parlare il campo".
L'Inter, l'esordio in Europa League... fino poi ad arrivare alla Serie C. Come hai gestito questo percorso nella tua carriera?
"Ti dico, io non mi sono mai perso, sono sempre rimasto concentrato e determinato. Sono un ragazzo che si è sempre impegnato, senza mai tirarsi indietro, nemmeno nei momenti difficili. Anche quando non giocavo, come nel caso di Arezzo, dove ero finito addirittura fuori rosa per scelte dell'allenatore, ho cercato di affrontare la situazione con serenità. A un certo punto, nell’anno in cui sono andato a Foggia, ho capito che non conta più il nome di Merola, ma ciò che dimostri sul campo. Perché puoi anche essere considerato forte, ma se non lo dimostri partita dopo partita, le persone si dimenticano di te. Alla fine, è sempre il campo a decidere chi merita e chi no".
Hai girato diverse piazze. Cosa ti hanno lasciato?
"Uscendo dalla Primavera dell'Inter e andando a Empoli, non ho trovato grandi differenze e questa è una cosa che mi ha colpito. Il settore giovanile dell'Empoli è davvero forte: giocatori come Baldanzi e Asllani, già dall’Under 15, dimostravano di avere qualità straordinarie. Il presidente dell’Empoli mette a disposizione risorse e attenzioni proprio come fa il presidente dell’Inter. Nonostante siano due realtà apparentemente diverse, sul campo e nel settore giovanile il livello è lo stesso, e questa cosa mi ha sorpreso. Venendo dall'Inter, pensavo che lì ci fosse tutto e che altre squadre non potessero offrire lo stesso. A Foggia, invece, ho incontrato mister Zeman, che mi ha cambiato radicalmente il modo di giocare e di pensare il calcio. Mi ha insegnato l'importanza della fatica e della disciplina. Foggia è stata la mia prima vera esperienza "da grande", la mia prima piazza importante. Ho iniziato a giocare con continuità, e quando le cose andavano male mi assumevo le critiche, anche pesanti. Però il calore dei tifosi lì è qualcosa di unico, paragonabile solo a quello dei tifosi di Napoli o di Roma".
Nel tuo percorso ti hanno paragonato a giocatori come Defrel, Signori, Di Natale, Montella e Agüero. In chi ti rivedi di più?
"Sicuramente Agüero".
Lo sai vero che sei uno dei pochi "eletti" ad essere finito in 6 edizioni dell'Almanaco de La Giovane Italia? Siete veramente in pochi....
"Non lo sapevo, ma è una grande soddisfazione. A me queste cose mi fanno piacere, mi fanno capire che ogni giorno devo continuare a dimostrare i premi che ti vengono dati".
Tra l'altro hai vinto un premio proprio poco tempo fa, no?
"Esatto. Circa un mese fa, come giocatore della Serie C, nel girone B, ho chiesto personalmente al mister di poter ritirare il premio, nonostante due giorni dopo avessimo una partita contro il Milan Futuro. Era un premio a cui tenevo molto, perché la squadra aveva concluso il campionato al settimo posto, con il Cesena che aveva vinto il campionato. Comunque, avevo segnato 17 gol. Un premio che ti segna, che un giorno potrai raccontare. Infatti il mister si è subito a disposizione, mi ha detto 'Ma scherzi vai, è giusto che te lo prendi'".
Ho letto che il tuo idolo è sempre stato Messi. Guardando il tuo profilo Instagram, c'è una foto che mi ha ricordato tantissimo una sua immagine. Si tratta di una tua foto con la maglia bianca-azzurra del Pescara, con il numero 10 sulle spalle, lo sguardo rivolto al cielo e le mani alzate. Mi ha fatto subito pensare alla stessa foto di Messi che fa esattamente la stessa cosa con la Nazionale.
"La stessa esultanza, sì, sì, certo. L'esultanza è dedicata ai miei nonni. Messi è il giocatore per cui ho iniziato a giocare a calcio, mi è sempre piaciuto. Addirittura, non seguivo il campionato italiano, ma guardavo il Barcellona per vederlo giocare, perché è il mio idolo, il mio preferito. Al Mondiale, dato che l'Italia non era qualificata, stavo davanti alla TV a tifare per l'Argentina".
Adesso, quali sono i tuoi obiettivi?
"Il mio obiettivo per ora è quello di cercare di vincere il campionato quest'anno, perché andare in Serie B con il Pescara sarebbe davvero una grande soddisfazione. Sono in un posto dove mi vogliono tutti bene e ho dimostrato di impegnarmi al massimo, perché qui mi trovo alla grande. Non è una piazza che merita la Serie C, te lo dico sinceramente. Poi, come ogni giocatore, il mio sogno è arrivare il più in alto possibile. Quest'anno mi aspettavo di salire in Serie B, ma a causa dell'operazione e di altre dinamiche di mercato, non ci sono riuscito. Tuttavia, il mio obiettivo principale è questo: scalare le categorie e arrivare in Serie A, anche a 30 anni".