Allenatore, da riferimento a cattivo esempio. Non solo D'Aversa: quanti atteggiamenti sbagliati nei settori giovanili...
La sentenza del Giudice Sportivo è arrivata: una giornata di squalifica a Thomas Henry, quattro invece per l'ormai ex tecnico del Lecce Roberto D'Aversa, reo di aver colpito con una testata (o qualcosa di simile) l'attaccante del Verona a fine partita. Un gesto vergognoso, dal quale pure il club pugliese ci ha tenuto a prendere le distanze: "L’U.S. Lecce, con riferimento all’episodio che ha visto coinvolto l’allenatore D’Aversa ed il giocatore del Verona Henry, pur valutando la situazione di nervosismo generale nel finale di gara, condanna fermamente il gesto del proprio allenatore in quanto contrario ai principi ed ai valori dello sport".
Episodi così negativi, purtroppo, non rappresentano una "rarità" nel mondo del calcio. Non solo in Serie A, ma anche nei campi di settore giovanile. Noi de La Giovane Italia, che da anni seguiamo le formazioni Under di tutta Italia, siamo stati spiacevolmente protagonisti di scene terrificanti, anche da parte di chi, per definizione, oltre che assumere i panni dell'allenatore, dovrebbe innanzitutto porsi da esempio e figura di riferimento per i propri ragazzi. Eppure, per una serie di motivi, i limiti della ragione vengono prevaricati.
Partiamo dal raccontare scene simili a quelle vissute al Via del Mare la scorsa domenica. Non è insolito infatti, ritrovare tecnici, accompagnatori o dirigenti che durante la partita (o al termine della stessa) si rendono protagonisti con atteggiamenti fuori luogo, minacce pericolose, spintoni o promesse pari alle solite "ci vediamo fuori", ormai diventato di uso comune nel gergo calcistico. Ne sono una dimostrazione gli episodi di provincia accaduti in queste settimane, campionati nei quali in realtà ci si gioca veramente poco, rispetto a titoli e trofei delle grandi competizioni, europee e mondiali.
E un altro punto determinante è proprio questo: gli allenatori hanno talmente l'ossessione di dover vincere, che arrivano a superare ogni confine. Quando, lo ripetiamo, la finalità di un settore giovanile non è portare a casa delle coppe ("utili per arricchire qualche banale bacheca e usarle esclusivamente come soprammobili", come raccontavamo in un nostro vecchio editoriale), quanto invece di formare e crescere i ragazzi. Prendiamo come esempio le parole di Tiziano Polenghi, allenatore dell'Inter Under 17, intervistato da uno dei nostri inviati al termine di Como-Inter dello scorso dicembre. Il tecnico nerazzurro rispondeva così alla domanda riguardo gli obiettivi da raggiungere a fine stagione: "Io sarò contento se, come nei passati campionati, la maggior parte dei ragazzi sarà in grado di affrontare la categoria superiore o addirittura, come capitato per alcuni 2006, di arrivare direttamente in Primavera. L'obiettivo della società è quello di creare calciatori pronti per la categoria successiva, il risultato deve essere solo una conseguenza di tutto quello che viene fatto per migliorare il singolo giocatore. Poi è chiaro: a tutti piace vincere. Però questo deve arrivare dopo che sono stati centrati tutti gli obiettivi relativi alla crescita del ragazzo".
La maggior parte degli allenatori di settore giovanile è troppo legata al risultato e alla voglia di prevalere, in qualunque modo, sull'avversario. Basti pensare anche, banalmente, ad alcune figure presenti nei club dilettantistici, "promosse" come istruttori nell'Attività di Base ma che non hanno alcuna conoscenza riguardo il calcio giovanile. Qui potremmo aprire un capitolo gigantesco su come la Federazione non valorizzi a pieno l'attività di un istruttore nel settore giovanile, costringendolo a tenere questo come hobby oltre al lavoro principale, non potendoci dunque dedicare tutta l'attenzione necessaria. Ma anche in questo caso, ci sono società che, nonostante tutto, si affidano a figure esperte e soprattutto preparate, evidenziate dalla partecipazione a corsi come UEFA C, B o altri; mentre alcune realtà decidono di lasciare i propri ragazzi in mano a degli "sprovveduti" per mancanza, o in alcuni casi voglia di cercare, delle alternative. Dall'anziano rimasto al calcio di 50 anni fa, che urla, sbraita e allena i ragazzi a stoppare il pallone contro il muro, agli adolescenti esaltati che, presi magari da una categoria Giovanissimi o Juniores, diventano allenatori di Pulcini o Esordienti con l'obiettivo di mostrare agli amici (o ancora peggio, sui social) la vittoria di un torneo estivo, ottenuta facendo giocare i ragazzi ritenuti più bravi e coinvolgendo, per 4-5 minuti e non di più, chi invece riscontra evidenti difficoltà. Tutto per cosa? Vantarsi del nulla.
Volete un'altra dimostrazione pratica di quanto stiamo dicendo? In questi anni sui campi del settore giovanile, noi come LGI non siamo mai riusciti nell'intento di fare una doppia intervista ai due tecnici al termine del match, come invece era accaduto a Gilardino e Inzaghi ai tempi della Serie B oppure, caso più recente, a Juric e Italiano post Torino-Fiorentina. Non solo, perchè oltre a non volersi presentare al fianco di un collega, alcuni hanno pure rifiutato di parlarci a causa di un ko o un risultato inaspettato. Non sono rari, infatti, i casi di nostri inviati che hanno atteso quasi un'ora per poter realizzare l'intervista, salvo poi ricevere la comunicazione di steward o responsabili riguardo un fantomatico "imprevisto" del tecnico, costretto ad abbandonare anzitempo il centro sportivo. L'imprevisto, per definizione, "è un qualcosa che giunge in maniera inaspettata o di sorpresa": certamente non un'assenza frequente, come spesso ci è capitato...
Non sottovalutiamo, però, un importante concetto: la società non deve limitare in alcun modo l'allenatore, che deve essere invece libero di guidare la squadra come meglio crede e soprattutto di crescere i ragazzi senza la pressione, da parte di presidenti o dirigenti, di dipendere dai risultati. Perchè anche qui, i casi da citare ce ne sarebbero eccome: da chi "costringe" il proprio tecnico a utilizzare un determinato modulo per tutta la stagione, a chi invece suggerisce, diciamo "caldamente", di preferire un calciatore piuttosto che un altro, per dinamiche che poco comprendiamo ma che possiamo banalmente intuire.
Tutto ciò non fa bene nè ai tecnici, nè tantomeno ai ragazzi, che non hanno elementi a sufficienza per capire i motivi di determinate scelte.